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Sono senza un polmone.

Sono senza un polmone.

Ho un solo polmone.

“Si dice andare a guadagnarsi da vivere, ed è inaccettabile che qualcuno esca da casa e vada invece a guadagnarsi da morire,” così parlava Stefano Massini. Quelle 1041 bare, allineate ieri in Piazza del Popolo, non erano solo l’urlo soffocato dei lavoratori caduti nel 2023, ma anche il silenzio assordante dei loro cari. Io, figlio di un uomo che non tornò mai dal lavoro, sento il peso di quel silenzio. Mio padre mori nel 1963, quando io avevo poco più di quattro anni. Uscì di casa per guadagnarsi i soldi per fa vivere tutta la famiglia e non tornò più. Aveva 33 anni e oggi, se fosse vivo, ne compirebbe 94.
Da sempre leggo tutti gli articoli che riguardano le morti sul lavoro. Lo faccio non per celebrare l’eroismo delle vittime, ma per comprendere il vuoto lasciato nei sopravvissuti. Mi domando dove troveranno riparo le lacrime delle mogli, dei mariti, dei figli, dei genitori, degli amici. E vedo per loro la stessa strada impervia che ho percorso io: vivere con l’assenza, sopravvivere con metà respiro, con un solo polmone.
Il 19 marzo, giorno della festa del papà, è per me un anniversario malinconico, un giorno senza festa: non ho mai avuto la possibilità di festeggiare il mio genitore.
Quelle bare in piazza sono il grido contro la disperazione, l’ingiustizia, l’indifferenza che ogni giorno ci sfiora. Quelle bare ci raccontano che i morti sono parte di noi, l’anello mancante della nostra felicità, i silenzi che mai avremmo voluto ascoltare.
Quando sentite di un incidente sul lavoro, non voltatevi dall’altra parte. Non accontentatevi di un semplice “mi dispiace”. Immaginate quante vite resteranno sospese, quante persone respireranno, dopo quella morte,  con un solo polmone.

11:13 , 20 Marzo 2024 Commenti disabilitati su Sono senza un polmone.