
“Non perda mai il senso dell’umorismo.” È stata questa la raccomandazione di Papa Francesco a Giorgia Meloni. Lo ha ricordato la presidente del Consiglio nel suo intervento alla Camera, mentre commemorava il pontefice. Un invito prezioso, soprattutto in tempi in cui ridere – e saper ridere anche di sé – è un atto rivoluzionario. Gli scout cattolici lo sanno bene: sorridere nelle difficoltà è una forma di forza interiore, una risposta alla vita. Ho sempre pensato che i comici siano le persone più serie: osservano il mondo con spietata lucidità e sanno trovare, persino nel caos, un punto di vista illuminante. L’ironia è una medicina salvifica. E tremendamente seria.
Diceva Winston Churchill: “Il miglior argomento contro la democrazia è una conversazione di cinque minuti con l’elettore medio.” Oggi potremmo aggiungere che molti politici, oltre a parlare con quell’elettore medio, ci costruiscono sopra l’intera strategia comunicativa, rigorosamente via social.
Ronald Reagan amava ricordare: “Il governo non risolve i problemi. Il governo è il problema.”
Ironia della storia: oggi il governo è sempre più teatro e sempre meno soluzione.
In questo contesto, un dettaglio stona: cinque giorni di lutto nazionale per la morte di un capo di Stato estero – seppur guida morale di una delle più grandi religioni del pianeta – sembrano un gesto sproporzionato per uno Stato laico. Un’iperbole istituzionale. Una reverenza ostentata. Un tributo più al potere che al pensiero.
Eppure, Papa Francesco non ha mai rivendicato potere. Ha scelto piuttosto di accendere luci là dove regna l’ombra: tra i carcerati, i migranti, i dimenticati, i bambini e le donne vittime delle guerre.
Di tutto questo, nel discorso della presidente Meloni, non c’è traccia. Neppure un accenno. La parola “migranti” resta accuratamente evitata, come fosse un tabù.
E poi, il gesto che spiazza: Francesco, con un sorriso e una dolce ironia, ha donato 200.000 euro ai detenuti di Casa del Marmo, per sostenere un progetto di reinserimento lavorativo.
Come a dire: dove i potenti non arrivano, provo io.
Le parole – come i gesti – contano. E allora immaginiamo, con un pizzico di ironia morettiana,
Giorgia Meloni che, parlando del Papa, si interroga: “Mi si nota di più se racconto che eravamo amici o se dico che tutto quello che ha detto si trovava già nei Vangeli? Provo a citare Gesù Cristo sui migranti, o mi conviene evitare del tutto l’argomento?”
Ecco. Va bene il senso dell’umorismo, ma servirebbe anche quello dello Stato.
Cinque giorni di lutto per un uomo che in vita avete spesso contrastato, non fanno ridere. Per niente.
Uno Stato laico avrebbe scelto diversamente.
Ma questo abbiamo: un Dio inascoltato, una patria brandita per interesse, e una famiglia difesa a parole, ma tradita nei fatti.
Questo articolo è stato scritto il giovedì, Aprile 24th, 2025 at 11:56
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Tags: Giorgia meloni, papa, papa francesco
Posted in: Blog, le ragioni di Caino