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In morte di un clochard

In morte di un clochard

Faceva freddo queste notti. Un freddo inteso che penetra nell’anima e rimescola la coscienza. L’unico modo per continuare a far pulsare il cuore è bere. Vino da pochi centesimi, alcool che riscalda i pochi attimi di coscienza. Come il lume di una candela opaca e silenziosa che illumina solo una porzione di cielo. Così Millire è morto. A quarantacinque anni. Tra i silenzi e i rumori sordi di un paese sempre più lacero e confuso. Millire però non era un semplice clochard, uno di quelli che anarchicamente giocano con la vita e la libertà. Lui era un commercialista facoltoso, maneggiava soldi, aveva una bella auto e una famiglia. Poi il buco nero di un matrimonio che va in frantumi, le lotte per gli assegni, la depressione, giungere sino al punto di non ritorno e scegliere di smettere con quella vita, smettere di camminare su vie diritte e ben delineate. Millire sceglie di non scegliere, decide di non decidere: abbandona tutto, lascia la casa alla ex moglie e cammina tra le strade di una città che sino ad allora lo aveva salutato con sorrisi densi, quelli dedicati a chi un posto tra i “normali” se lo è meritato. E’ morto all’alba. Lo hanno ritrovato tra le campagne di Dolianova, in mezzo ai cespugli, alla ricerca, probabilmente, di un riparo per la notte. Dietro quella vita “normale” Millire nascondeva passaggi complessi che nessuno intende analizzare. Non possiamo dire “peggio per lui”, non possiamo più dire: “a me non capiterà mai”. Le favole cattive vanno raccontate perché ce le dobbiamo appuntare nel cassetto dei nostri ricordi, provando a riflettere quanto siamo vicini a Millire e quanto, invece, siamo lontani dalla sicurezza e dall’agiatezza di un mondo tutto di plastica e lustrini. Abbiamo urlato “io sono Charlie”, potremmo anche dire, seppure a bassa voce e sommessamente: “io sono Millire.

10:23 , 15 Marzo 2015 Commenti disabilitati su In morte di un clochard