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DIARIO PARTICOLARE DI UN CANDIDATO PARTICOLARE  ALLE ELEZIONI PER IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA FEBBRAIO 2009

DIARIO PARTICOLARE DI UN CANDIDATO PARTICOLARE ALLE ELEZIONI PER IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA FEBBRAIO 2009

 

Ho riletto, quasi tuttod’un fiato il mio lungo diario apparso su facebook e sul mio sito da gennaio a febbraio 2009. Sono stati 38 giorni davvero densi e, per quanto mi riguarda irripetibili (ho sempre sostenuto che non riuscirei a fare il politico e dopo due anni sono ancora più profndamente convinto. Ho deciso, quindi di unire tutti gli scritti di quel diario particolare e rimetterli insieme. Ci sono cose superate dagli eventi, è ovvio, ma ci sono ancora cose che ritengo e riterrò eticamente valide. Quindi, lapensavo così prima di Cappellacci e la penso così anche oggi, conscio che questo triste figuro abbia fattodei danni ernomi per la nostra isola perchè non la ama e non sa metterci la passione. Per chi ha voglia di leggere questa lunga maratona ecco le molte pagine di quel diario che lascio alla rinfusa all’interno del sito, procurandogli la veste di “archivio” e assemblandolo,senza correggere niente.

6 gennaio 2009

Perchà mi candido

Rileggevo dopo tanti anni le lettere dal carcere di Antonio Gramsci. Il libro porta una data davvero lontana: 10 agosto 1975, festa dell’Unità. Ho sorriso.

Rileggevo dopo tanti anni le lettere dal carcere di Antonio Gramsci. Il libro porta una data davvero lontana: 10 agosto 1975, festa dell’Unità. Ho sorriso. Per due motivi: il primo perchè la data è davvero lontana, forse lontanissima e precede – addirittura – la grande vittoria del PCI alle elezioni del 1976 e il varo del compromesso storico. Il secondo motivo è più intimo ma, nello stesso tempo, incredibile. Nel 1975 avevo 16 anni. Che non sono pochi ma, probabilmente erano tantissimi per le lettere dal carcere. Ributtando lo sguardo con diverso interesse ho cominciato a commuovermi perché quel ragazzo di sedici anni sottolineava (un vezzo che ho sempre avuto e ho tuttora) interi periodi che riletti oggi hanno la stessa freschezza di allora, i periodi e le sottolineature. Una tra le tante sottolineature è dannatemene intimista e un ragazzo di sedici anni faceva bene a leggerla, rileggerla e sottolinearla: “ Mi sono convinto che bisogna contare solo su se stessi e sulle proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusioni. Che occorre proporsi di fare solo ciò che si sa e si può fare e andare per la propria via. (…) Credo di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde e che non le baratta per niente al mondo”. (Antonio Gramsci, lettere dal carcere, Einaudi, 1971, pag.65). Quella sottolineatura mi è servita per decidere, per provare a dare un senso, a ciò che in questo momento ho deciso di fare: accettare una candidatura per le prossime elezioni regionali in Sardegna. Certo, per me è stata una decisione davvero sofferta. Ho trascorso giornate a leggere, rileggere cose antiche, cose mie, di quando l’ideologia era il mio credo, il mio dover andare avanti, la mia giustificazione all’esistenza. Perché allora, da mediocre ideologo, piccolo intellettuale, lettore che scrive libri, ho sentito la necessità di accettare qualcosa che avevo sempre rifiutato? Per alcuni motivi.
Perché continuo ad avere delle convinzioni profonde che non baratto con niente e con nessuno. Perché è facile continuare, con atteggiamento snobistico, a vivere dentro pagine che raccontano voci ormai lontane e si sentono solo flebili rumori. Perché è bello stare dalla parte migliore, quella critica, quella del grillo parlante, ma non ci puoi stare per sempre. Perché non possiamo continuare a regalare la politica a coloro i quali hanno sempre gli stessi occhi, le stesse mosse lente ed impacciate, le stesse tristi parole, lo stesso modo di stare seduti al tavolo – in maniera del tutto distratta e feroce – lo stesso modo di regalare risposte. Perché non possiamo dire che siamo a favore della questione morale, scriverlo, urlarlo, ma non vogliamo impegnarci di prima persona. Perché ho capito che serviva questa scelta. Che non è “la scelta” ma è solo un modo interpretativo dell’impegno sociale, è comunque uno sforzo intellettuale contro le pochezze che continuano a costruirsi davanti al nostro vociare piccolo borghese.
Ho scelto un partito che non ha tradizioni e che, ideologicamente, poteva non essere il mio partito. Ho meditato molto anche su questo. Ma quale poteva essere il mio naturale approdo politico? Poteva, per esempio, essere il Partito Democratico? Poteva e, nei primi vagiti lo è stato. Ho pensato, almeno per un attimo, che si potesse costruire una nuova identità, che la sinistra aveva provato a creare qualcosa di nuovo senza buttare l’antico. Poi vedo le facce feroci di questi piccoli uomini che urlano e che non ci stanno e che vanno contro le regole che loro stessi si erano dati: non ci si può candidare oltre le due legislature. Ma non andava più bene. Perché ci sono le eccezioni. Ed eccoli qui i dodici piccoli indiani a mendicare ancora una volta il posto nel Consiglio Regionale Sardo. In nome di che cosa? Hanno rilasciato, per caso, una dichiarazione a favore dei sardi? Hanno magari accennato a leggi lasciate a metà che avrebbero favorito i sardi? Perché hanno diritto ad una terza possibilità? Perché dovremmo continuare a votare questi piccoli uomini? Allora mi sono detto: questo non può essere il mio partito. E sono ritornato a Berlinguer, a rileggermi l’intervista del 1981 rilasciata ad Eugenio Scalfari. E dentro quelle parole mi sono ritrovato. “Quella questione che, secondo noi comunisti, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati”. E davanti a queste parole mi sono commosso e ho deciso di candidarmi con l’Italia dei valori. L’ho fatto con sincera passione, anche se, come affermava Pasolini, la passione non ottiene mai perdono, ma occorre in ogni caso viverla intensamente.
Queste le mie scelte dentro la mia testardaggine e il mio orgoglio di essere stupendamente sardo.
Questo sito sarà il mio diario in questi giorni. Spero sia utile (per me lo sarà senz’altro) e spero sia utile alla causa. Non cerco l’elezione o il consenso. Sarebbe ipocrita. Né cerco soluzioni a complessità ataviche. Chiedo soltanto una cosa: quando andrete a votare, votate solo ed esclusivamente pensando che le proprie convinzioni non si barattano con niente al mondo. Votate con la certezza di non dover dire, dopo qualche mese: tanto sono tutti uguali, perché avete votato sempre gli stessi. Quelli che conoscevamo tutti e di cui nessuno si fidava. Ecco, quei signori di destra e di sinistra devono abbassare i loro occhi da padroni e cervelli da servi e scoprire che i sardi, per esempio, non accettano candidati imposti con una telefonata dal continente. Abbiamo un’anima forte noi. E dobbiamo gridarlo. Sempre.
Ecco perché ho deciso di candidarmi. Ecco perché è importante esserci.

Giampaolo Cassitta.
38 giorni alle elezioni. Diario di bordo

Anche Mussolini era cavaliere
Non ero presente alla convention di Soru ieri a Cagliari. Ma ho letto ciò che è accaduto. Mi sono piaciuti, soprattutto, alcuni passaggi del Governatore. “la Sardegna deve scegliere se avere fiducia in se stessa o negli altri”. Il riferimento non era puramente causale ma volontario e legato alle scelte effettuate nell’altra sponda, sponda che ha brillantemente citato quando, riprendendo la biografia di Peppino Fiori, (qualsiasi Dio lo abbia in gloria) ha ricordato che “la storia tragicamente si ripete. Anche i sardofascisti dialogarono con Mussolini, il quale disse loro di stare tranquilli, che alla Sardegna ci avrebbe pensato lui” e ha chiosato, coniando uno slogan del tutto nuovo ma dal sapore antico: “Anche Mussolini era Cavaliere”. Bellissimo. Davvero. Sono contento di questo primo giorno da candidato ufficiale e sono contento che alcuni amici (quelli veri) mi abbiano telefonato. Altri mi hanno scritto su Facebook e riporterò i loro pensieri dentro questo blog elettorale. Ho deciso, intanto, di fare delle piccole presentazioni non del programma o delle mie promesse elettorali (che non farò perché non so fare) ma partendo da un libro voglio sviluppare un tema. Parlando con un vecchio amico, Franco Cano – anche lui scrittore – mi ha detto che è una bella idea e che per l’istruzione e le problematiche adolescenziali si potrebbe partire da Pennac. Ma anche da Paesi tuoi, oppure dalla trilogia della città di K.

Ps: mi dispiace (me ne accorgo solo adesso) che Mr.Word non conosca Pennac (ed infatti lo sottolinea in rosso, come un errore. Ho provveduto con il tasto destro ad aggiungerlo nel vocabolario. Quello che mi stupisce è che non conosce Mussolini. Ho deciso di non aggiungerlo nel vocabolario. E’ bello vederlo come sconosciuto dentro le parole. L’unica tristezza è che invece il Cavaliere è conosciuto anche da Word. Come lo conoscono in molti tribunali.
Buona serata a tutti

– 37 GIORNI ALLE ELEZIONI. DIARIO DI BORDO

La favola del principiante

Molti mi chiedono non più sul perché mi sono candidato, ma su cosa farò, su cosa mi impegnerò una volta eletto. Mi viene da sorridere, anche perché tutti ti osservano con quello sguardo soffice e rugoso, quello di un giocatore di poker che sa già di aver capito le tue mosse. Tu , chiaramente sei bravo, sei nuovo, sei quello che chiediamo da sempre. Ma tu non sarai l’eletto, anche perché, a conti fatti non sei così bravo, così attento alle nostre cose, che fanno parte del nostro piccolo orto privato. Non farai nulla per la mia licenza edilizia, per l’iscrizione di mio figlio in una scuola pubblica, per un master a mio nipote, per un concorso in regione. Tu sei bravo, tu sei eticamente presentabile, ma non sarai l’eletto. Perché poi, alla fine, si gioca dentro un condominio, non ci interessano i grandi orizzonti, non si sentono gli spari sopra, né si pensa che quel ragazzo è morto sul lavoro e non era assicurato. E non basta la morte a strappare le lacrime alle madri, ma anche queste facce scolpite, levigate, di gente che ha “altro cui pensare” non ricorda, non ha memoria e nasconde quell’operaio, quelle mani sottili, quegli occhi piccoli e forti dentro inutili frasi: doveva strare più attento, perché non si è trovato un altro lavoro. Se il colore della pelle ha contorni diversi dai nostri, quelli del condominio, del parcheggio in doppia fila, neppure se lo ricordano quell’incidente. Poteva starsene a casa sua. Poteva. Come i nostri padri che sono andati in mille posti e in mille strade a respirare carbone in Belgio e tornare con i cuori pieni di fuliggine, a morire dentro questa terra che non ha più capacità per ricordare.
Ecco, a questo punto vorrei fermarmi e provare a dire che occorre scommettere sull’istruzione (un maledetto pallino di Gramsci) sulla sfere formative, il fare, il saper fare e, soprattutto il saper essere; che noi abbiamo un grande patrimonio: la nostra terra di cui dobbiamo andare orgogliosamente fieri. Che non possiamo svendere questo patrimonio a nessuno, che dobbiamo riappropriarci della dignità. Tutti guardano e abbassano lo sguardo. Sei bravo, molto bravo, ma io voterò un altro. Vorrei provare a dire: “Giusto. Il voto è una scelta. Una tua scelta. Ma offrilo a chi per la prima volta si candida, a chi non capisce niente di “partiti” (ma qualcosa di etica e di politica la mastica), donalo a chi avrà la capacità di dire qualcosa di nuovo e di creativo dentro questa terra che ha il diritto di vivere una vita a colori.
Durante una selezione per psicologi veniva posta, dall’esaminatore, la seguente domanda: “Ha esperienze maturate in questo campo?” Tutti rispondevano: “Sono appena laureato e purtroppo non ho nessuna esperienza”. Una ragazza, appena laureata anch’essa rispose: “Sono appena laureata e, per fortuna non ho nessuna esperienza in questo campo. Non avrò pertanto nessuna remora nell’apprendere e nel svolgere il mio servizio verso gli altri. La ragazza fu assunta. Ma questa, forse, è un’altra storia.

Ps: C’è qualche vecchio mandarino che ha dichiarato di volersi candidare, nonostante le sue due o tre o quattro legislature alle spalle, perché non è riuscito a raggiungere l’obiettivo. E uno si chiede: che obiettivo aveva? Mi vengono in mente le serate invernali di molti anni fa a casa di amici, giocando a Risiko. La speranza era di pescare, tra gli obiettivi, quello di conquistare 18 territori a piacere, con almeno due carri su ogni territorio. A questi politici sfortunati sarà sicuramente toccato quello più difficile: conquistare l’Europa, il Nord America e un terzo continente a tua scelta. Ecco perché vogliono continuare il loro lavoro. Mica per servizio. Per vincere sugli altri. Su tutti. Soprattutto sui sardi.

– 36 giorni alle elezioni. Diario di bordo

Un mare di opportunità (e non solo)

Ci sono molti che usano la parola opportunità. Perché è una bella parola. Un bel termine. Pulito, materiale, perché ci porta dentro mille altre storie, alle occasioni mancate e a quelle possedute, alle possibilità che ognuno riesce a crearsi, al momento propizio. Cosa è opportuno in politica? E in campagna elettorale? E che opportunità ha quest’isola di continuare un progetto che non si è ancora concluso? Il programma è vasto e i partiti – e quindi gli uomini di partito – si misurano con i programmi e dunque con le parole. Ho letto in questi giorni molte volte il termine “opportunità” . Lo hanno usato tutti ritenendosi maturi, consci, unici nel poterlo fare. Ma hanno navigato dentro una piscina senza troppa acqua, sbattendo braccia scompostamente. Nessuno riesce a dare risposte certe. In politica, mi hanno insegnato, si danno solo “certe risposte”. Io dico no a tutto questo. Dico che i sardi hanno un’unica opportunità: quello di capire, in maniera definitiva, che le soluzioni e le opportunità devono nascere da dentro: dalla gente, dalla propria cultura, dai suoi canti antichi e lontani, dalle processioni che raccolgono occhi e braccia di speranze, dai pastori e dai contadini che non riescono più a modellare sorrisi. Dobbiamo dare l’opportunità di amare la nostra isola. Perché noi siamo parte di questa terra, come cantavano i vecchi indiani d’America e questa terra fa parte di noi. Noi siamo quelli che usiamo per poco tempo queste coste, queste colline, questo mare questo sole e questo silenzio torrido con il giallo forte e il rumore del mirto e del cisto. Noi dobbiamo lasciare un’eredità ai nostri figli. Noi abbiamo l’opportunità di lavorare affinché questo non sia distrutto, vituperato, eliminato. Dicono che la poesia non fa parte della praticità. Non regala opportunità come le gru che si sollevano dai cantieri. Perché non immaginare, invece, un popolo senza troppe gru e con la possibilità di presentare al mondo un’isola che è isola davvero, che è diversa e che va molto fiera della propria diversità.
A margine di tutto questo, a volte mi viene difficile riuscire a capire perché molti, i pratici, i pragmatici, non apprezzano tutte queste cose. Un mio forte e caro amico non vedente mi dice sempre: perché voi avete la possibilità di ammirarle tutti i giorni. Lui non ha quella opportunità. Ma non è vero. Quando sorride, dentro il fumo della sua sigaretta, a bassa voce risponde: “ma io quando vengo in Sardegna sento il profumo, un profumo che non c’è da nessun’altra parte al mondo.” E’ il profumo del nostro caldo e forte sud. Noi dobbiamo lottare per conservare ai nostri figli questo pezzo di terra con tutti i suoi colori e i suoi odori. E il sapore forte della nostra gente. Anche questa è un’opportunità che possiamo giocarci. Un turismo sostenibile, senza affanno, fatto di piccole e sicure cose. Che non esistono da nessun’altra parte al mondo. Le gru che svettano davanti al mare sono panorami stantii e tristi. Sanno di olio denso e appiccicoso. Sanno di mare raffermo e paludoso. Non sanno di Sardegna.

– 35 GIORNI ALLE ELEZIONI. DIARIO DI BORDO
I professionisti della politica

Signor Presidente del Consiglio, ho letto con molto interesse l’intervista apparsa sul quotidiano L’Unione Sarda (10 gennaio 2009) e vorrei porle alcune domande semplici ed ingenue, in quanto anche io, come Ugo Cappellacci, non sono un professionista della politica e provengo dal mondo del lavoro (inciso piccolo piccolo. Ma lei, è da considerare tra i professionisti o tra quelli come noi, dilettanti?) Dunque, ho scoperto che lei è innamorato della Sardegna, e che intende trasformarla nella più grande oasi ambientale.
Sogna – e questo è bellissimo, mi creda – “un ambiente che possa produrre grandi opportunità di occupazione. Sogno una Sardegna verde che elimini anche i pericoli della desertificazione ricostruendo quella splendida macchia mediterranea devastata in questi anni dalla piaga degli incendi” Mi permetto (e mi scuso) di virgolettare quanto lei afferma perché lei è un vero professionista della smentita ma che dovrà fare verso l’Unione sarda e non nei miei confronti che non sono un professionista della politica e provengo dal mondo del lavoro.
Ora, quello che lei racconta è davvero meraviglioso – beatiful oserei dire – ma, proprio qualche attimo prima, nella stessa intervista (che può senz’altro smentire, ci mancherebbe) affermava, a proposito di Sardegna che rischia di diventare la terra delle cattedrali nel deserto che: “il mio passato governo, con la giunta Pili, firmò con l’Eni e i sindacati una accordo di programma quadro sulla chimica con uno stanziamento di oltre 600 miliardi di vecchie lire. Soldi veri, (che significa soldi veri? Perché solitamente i suoi soldi non sono veri???) che Prodi e Soru hanno reso inutili bloccando progetti e lo stesso rilancio della chimica.”. Signor Presidente ci faccia capire: lei è per un ambiente sole, mare e mandolino (launeddas, Presidente, launeddas) oppure per salvare le cattedrali nel deserto?. E ancora, come si coniuga questo grande amore per la natura, per il mare, il sole, la bandana, le donne gli amor con la certezza che se vincesse Cappellacci la prima cosa da fare è quella di eliminare tutte le leggi che Soru ha promulgato contro la cementificazione delle coste, contro i poveri ricchi?
Signor Presidente, io non sono un professionista della politica e provengo dal mondo del lavoro ma non sono così ingenuo e di gente come lei, che è venuta dal mare, da queste parti ne abbiamo conosciuta tanta. Infatti, ci teniamo dentro un vecchio proverbio che io, testardo, ho imparato a memoria : “Furat chie furat in domo e chie benit dae su mare” (Ruba chi ruba a casa sua e chi viene dal mare).
Signor Presidente, mi creda, non è il caso di suggerirci le leggi da abrogare o promulgare né cosa dobbiamo fare della nostra terra. Ci pensiamo da soli. Capisco che lei vorrebbe un’isola di plastica, cotonata, gonfia di ormoni, sudori acidi e sogni da regalare. Capisco che non si rende conto quanto la crisi sia vicino nelle nostre case, capisco che Lei, da buon professionista della politica, munga le mammelle della demagogia spicciola ma, mi creda, noi sardi ingenui e puri non prendiamo lezioni da nessuno. Neppure da chi vuole un’oasi naturale, colorata artificialmente e magari senza giudici e tribunali. Signor Presidente del Consiglio, mi faccia dire un’ultima cosa: Soru è quello che ha imposto la tassa ai ricchi, quelli ricchi per davvero, Lei compreso. Il suo governo è quello che ha imposto la tassa di 50 euro per ottenere un permesso di soggiorno ad un povero extracomunitario obbligando ad una fideiussione di 10.000 euro l’immigrato che voglia aprire una partita IVA.
Direi che tra lei e Soru c’è di mezzo il mare. Per nostra grande fortuna.
Senza alcun rancore da un candidato non professionista della politica che proviene dal mercato del lavoro che Lei son sicuro che apprezza ma che, fra qualche giorno ritornerà al suo mestiere perché, mi creda, vinceranno gli altri, compresi i “falsi non professionisti” che Lei ha “democraticamente” imposto ai sardi. Ma non a me. Né a tanti altri. Almeno spero.

Ps: Domani, 11 gennaio 2009, è il decennale della scomparsa di Fabrizio De André. Uno che la Sardegna ce l’aveva dentro e l’amava davvero. Uno che aveva sguardi e rumori di vera libertà. Ed è bello stasera pensare che dove finiscano le sue dita, debba in qualche modo cominciare una chitarra. Signor Presidente. Lei disse un giorno (non so poi se ha smentito) che Gino Strada (il fondatore di Emergency) era un ragazzo con le idee confuse. Ecco, anche Fabrizio De Andrè aveva le stesse idee confuse a proposito di guerra, di amore forte e di fratellanza. Le stesse mie perdute e fortissime idee. Diverse da quelle di Apicella. Non dico migliori, per carità. Ma diverse senz’altro. Molto diverse.

– 34 GIORNI ALLE ELEZIONI. DIARIO DI BORDO
Il giardino di casa nostra.

C’è aria di pausa domenicale anche dentro questa campagna elettorale che, ancora non ha mostrato ferocia. Leggo piccole schermaglie del buon Berlusconi e mi rendo conto che ha trovato la soluzione a tutti i nostri problemi. Centomila posti di lavoro (una volta erano un milione per 20 regioni ma, si sa, con l’inflazione e la crisi…) per noi sardi. E ha trovato anche cosa dovremmo fare. E io, a quel punto mi sono commosso. Berlusconi è il nostro foglietto delle spiegazioni per i mobili che si acquistano all’Ikea. Senza di lui non riusciremmo mai ad avvitare neppure un bullone. Noi non faremo più gli emigrati in Belgio, né dovremo vedere cartelli nei bar della Germania dove scrivevano “Vietato l’ingresso ai sardi”, noi non saremo più costretti ad emigrare a Torino e spaccarci le ossa dentro le fabbriche (Mica solo Cappellacci lavora….) né dovremo abbandonare i nostri ovili per recarci ad Ottana o a Porto Torres dentro una fabbrica che non ha senso. Non dovremo lavorare nei cantieri edili senza assicurazione e senza casco e senza sorrisi, perché c’è la crisi e la crisi c’è anche per i padroni e se crepi diventi un trafiletto in penultima pagina dei giornali nazionali. No, noi se dovessero vincere Berlusconi e Cappellacci (uno che proviene dal mondo del lavoro, lui….) avremo una grande opportunità. Un nuovo grande mestiere. Centomila sardi che ringrazieranno il Nuovo Messia. Noi non faremo più i camerieri in costa Smeralda, mestiere ben rappresentato sino ad oggi. No, i centomila sardi saranno giardinieri!!! E allora uno pensa: ma perché? Lui risponde che bisogna essere ottimisti che non ha mai visto un pessimista vincere qualcosa. Già. E’ probabile, anche se vorrei discutere con lui di pessimismo della ragione, di Leopardi, di Ungaretti, ma so che è difficile, tremendamente difficile competere con un genio come Berlusconi. Non saremo più camerieri, per fortuna diventeremo giardinieri. Una sola cosa: ma non gli bastava un solo stalliere per Arcore? Tra l’altro dalle nostre parti cresce solo macchia mediterranea. E non ha bisogno di giardinieri. Ma di persone che la salvaguardino.

PS: Serata speciale su Rai tre e in altre molte piazze d’Italia. Abbiamo colorato gli animi con le parole di Fabrizio De Andrè. Ho ascoltato con religioso silenzio tutto il programma ed è stato davvero bello osservare che dove finiscono le sue dita dovesse, in qualche modo, cominciare una chitarra. E’ bello pensare che ci sia anche Faber dentro questa campagna elettorale che non gli sarebbe piaciuta. Lui amava davvero questa terra e l’ha lavorata con le sue mani. Lui amava davvero le nostre storie, i nostri fuggitivi attimi e i nostri tenui sorrisi. Ho parlato molto di De Andrè negli spettacoli con gli Humaniora, quelli dedicati ai bambini di Betlemme, agli ultimi, a quelli che non hanno voce. Mi piace pensare che lui oggi, sia qui con me a suggerirmi parole forti e dense, parole che non riescono a solidificarsi. Ma sono nostre.

commenti

-33 GIORNI ALLE ELEZIONI. DIARIO DI BORDO

Il peso docile delle parole.

Ci sono parole che entrano dentro e solcano la storia della nostra esistenza. Ci sono parole forti, dure, metalliche, che fanno molto rumore e penetrano sino a scalfire i cuori e le vene e il sangue che si mescola e si intorpidisce alla ricerca di un ricordo. Ci sono parole che sono enciclopedie della memoria, che quando arrivano, conoscono il loro tragitto. Parole telecomandate che conoscono il sudore della pelle, il caldo della gente, il rumore dei sorrisi, il gioco degli sguardi. I silenti abbracci di chi, davanti all’uscio di una casa antica, saluta chi sa che non rivedrà più. Ci sono parole che sono dentro questa terra ed è bello poterle calpestare, perché sono nostre, perché ci appartengono e non si possono barattare. E’ difficile in una campagna elettorale accompagnarsi a delle semplici parole. L’errore più grande è quello di disegnare grandi orizzonti, enucleare mirabolanti soluzioni, avere in tasca l’elisir della felicità. Come se fosse facile dentro la nostra terra arida e forte e dura e cattiva e placida e dannatamente nostra. Dunque le parole. Occorre trovarle, scovarle, stanarle negli anfratti della memoria, dentro i ricordi, nei disegni della nostra coscienza, dove non c’è spazio per i grandi gesti, le grandi soluzioni. Siamo, in realtà, un piccolo popolo testardo e solitario. Ma degno. Da qui dobbiamo ripartire. Non ci piacciono quei signori che arrivano con le loro parole di plastica che ci raccontano che dobbiamo accorpare le scuole nei territori, che non servono queste piccole comunità in questi paesi dove i bambini non hanno i numeri per sopravvivere. Come se fosse una loro colpa l’essere pochi dentro paesi vuoti e vecchi. Questi signori che voglio chiudere le piccole scuole non conoscono la dignità per il futuro e non sanno colorare i sorrisi dei bambini. Non ci piacciono quei signori che ci presentano il maestro unico. Come il pensiero unico. Noi, figli di mille rivoli di sangue e di mille modi di colorare il cielo non ammettiamo l’unicità dei pensieri. Non ci piacciono i singolari. Siamo cresciuti dentro plurali enormi, fatti di contraddizioni , ma con facce ritagliate in tante piccole voci che sono lingue e che hanno il rumore della vita. Non ci piacciono quelli che ci propongono un’educazione limitata. Che vogliono, in qualche modo, chiudere con gli adulti. Che pensano che non si possa più crescere e ricrescere, vedere e rivedere, scoprire e riscoprire, amare e riabbracciarsi. Non ci piacciono quelli che non sanno dare risposte alla scuola, ai bambini, ai docenti, agli operatori, ai libri, alla memoria. Non ci piacciono quelli che volano veloci sopra ogni cosa perché l’economia globale così ha deciso. Non ci piacciono quelli che non sanno soffermarsi e che usano il futuro solo come metro per un ottimismo che non c’è. Che non sanno misurarsi con il proprio passato e le proprie ombre e le ataviche paure. Non ci piacciono quelli che usano la matita rossa solo per gli altri, che non ammettono i propri errori. Che non sanno insegnare ai propri figli, perché non hanno avuto la pazienza di imparare. Un buon consigliere regionale dovrebbe essere curioso di ciò che gli accade intorno. E non avere mai troppe certezze. Ho sempre amato il dubbio che porta alla discussione. Ho sempre amato le parole. E ho terribilmente amato e amo questo fazzoletto di terra. Che è mia. Con tutte le sue contraddizioni. Comprese le mie. Ho sempre amato e amerò per sempre questo popolo che ha saputo diffidare per sopravvivere e costruire parole nuove partendo da quelle antiche.

– 32 GIORNI ALLE ELEZIONI. DIARIO DI BORDO.

Piccole sorgenti di opportunità dentro la nostra terra

Ho telefonato ad una carissima amica che attualmente vive a Milano. Mi ha raccontato velocemente che si sveglia molto presto per arrivare ad una fermata della metropolitana, poi un cambio, infine un autobus per giungere finalmente sul luogo di lavoro. Una casa per anziani dove lei lavora come animatrice. L’avevo chiamata nel tardo pomeriggio ma il suo cellulare squillava senza dare nessuna risposta “Perché ero in autobus e ho paura ad aprire la borsetta”. Bellissima questa atavica diffidenza sarda. Quasi commovente. Non ha cambiato l’accento e, anzi, è molto orgogliosa di essere e sentirsi sarda in un luogo difficile come Milano. Difficile perché si vive a stento e con molti sacrifici. Guadagna con un contratto interinale che scade a Maggio 1.100 euro netti. “Il fine settimana però vado nei supermercati e faccio propaganda a prodotti da acquistare. Arrivo, alla fine del mese a circa 1.500 euro, ma ne pago 500 d’affitto.” La mia amica è laureata, quando era in Sardegna dopo gli studi, dava una mano in carcere e riusciva a far ottenere la “disoccupazione” ai detenuti che avevano lavorato solo per qualche mese. Lei, da disoccupata.
Ha successivamente partecipato a diversi concorsi, ha studiato – e tanto – ma è attualmente idonea ad un posto per educatore penitenziario. Un concorso che tarderà ad arrivare a destinazione. E quel concorso, tra l’altro lo hanno vinto in molti. Alcune vincitrici le conosco benissimo e sono davvero brave e preparate. Ma aspettano. Aspettano un treno che cambia spesso binario, perché il governo berlusconi ha deciso di non investire sulla Giustizia e neppure sulla rieducazione. Soldi buttati, ha detto qualcuno. Mica ci finiamo noi in galera. Che ce ne facciamo degli educatori?. Ecco, questi ragazzi che aspettano una risposta da un governo sordo e cieco tentano altre strade. Sperano in piccole occupazioni. Chiedono, si muovono, mandano curricula. Ma non basta. In Sardegna è sempre tutto più complesso, più acerbo, più duro. Ecco, in Sardegna ci vuole l’amico. Non sempre funziona ma aiuta. L’amico può fare promesse e anche se non mantiene niente, ma non è questo il problema. Il nostro amico non ha questo problema. Non se lo pone neppure. Ho visto i volti di molti candidati in questi giorni. Alcuni non li conosco affatto, di certi ne conosco la cristallina onestà e buonafede. Di alcuni ne riconosco le palpebre. Socchiuse e gonfie. Che, quando le stringono non sai mai se stanno per piangere o vogliono, più semplicemente, restringere il proprio orizzonte su se stessi, chiudendo lentamente gli occhi. Io ho visto molte di queste persone porgerti velocemente la mano aggiungendo frasi sconnesse: “Vedremo, si può fare. Non ti preoccupare” (ricordano la bellissima locuzione della canzone di Jannacci: “Eh… se me lo dicevi prima… ma prima quando…. prima… prima) In questa campagna elettorale, dove molti contano i mandati e i veti e la voglia di essere dentro il consiglio regionale in nome del popolo sardo, non ho sentito nessuno che sentisse l’esigenza di dire basta a questa precarietà che ci divora, a questo girovagare per l’Italia, perché da noi non ci sono possibilità. E non ci sono perché nessuno ha saputo capire le esigenze di un popolo che voleva costruire il proprio futuro ed è stato costretto a guardare immagini prodotte da altri. Non abbiamo bisogno di un altro piano di rinascita. E’ vero. Abbiamo bisogno di investire e di credere in noi stessi. Abbiamo bisogno di rilanciare le zone interne di questo paese, lavorare per la memoria e la cultura, abbiamo bisogno di ridisegnare un turismo sostenibile. Abbiamo bisogno che la nostra gente non debba fuggire dentro un Nord cupo e poco sorridente, abbiamo bisogno che i nostri laureati, le nostre forze intellettuali possano provare a costruire piccole sorgenti di opportunità dentro questa terra. Che è acre, dura e forte. Ma è nostra. Abbiamo la possibilità di scommettere sulle cose che produciamo, su un settore come il turismo che deve puntare sulla qualità. Abbiamo la possibilità di scommettere su noi stessi. La mia carissima amica ha detto che tornerà in Sardegna per le prossime elezioni. Ha detto che non può mancare. Perché nonostante Milano, le metropolitane, Sesto San Giovanni, la nebbia, i pochi euro, ha detto che il suo voto per Soru può essere decisivo. Grazie le ho risposto. E mi sono commosso.

-31 GIORNI ALLE ELEZIONI. DIARIO DI BORDO

L’ultimo spettacolo

Capisco la tristezza che nasce quando, sull’ultimo fotogramma del film, gli attori, quelli consumati, quelli bravi, quelli che hanno vinto tutto, lasciano la scena. Con un rumore sordo, con una musica gonfia di acuti violini che inondano il palcoscenico. E la frase, la frase dovrà essere ricercata, con voce roca, strascicata, ridondante, da ricordare. Perché gli attori consumati, quelli veri, hanno sempre una frase per entrare nella memoria della gente. Alcuni usano frasi nichiliste (Moretti in Palombella Rossa: Ma come parla… e ancora, Moretti in Caro diario: “Di qualcosa di sinistra. Di qualcosa”) altri hanno il futuro davanti, con il rosso d’un tramonto infuocato (Rossella O Hara in via col vento: “Domani è un altro giorno”) oppure ti lasciano con frasi echeggianti (il finale di Il brutto, il buono e il cattivo: “Biondo… sei in grande figlio di….” dentro la musica del magnifico Morricone che avanza). Insomma, gli attori, quelli veri, hanno sempre diritto ad un finale grande, incantevole, forte, durevole. Mi ha quindi meravigliato la frase ad effetto di un attore che cavalcava le scene da molti anni. Un attore che ha sempre amato la parte da “protagonista”. Ha deciso di abbandonare il set e, con passi dolci, felpati, cavalcando il teatro ha dichiarato: “Decido di non candidarmi e mettere la mia esperienza a disposizione del partito”. Addio. Domani è un altro giorno, Passoni ricordatelo.
Non riesco mai a capire se i grandi attori recitano sempre, anche quando i titoli di coda sono passati o se, dentro qualche piccolo angolo della loro anima hanno un cassetto per se stessi e per le loro emozioni. Non lo so. Non l’ho mai capito. L’Onorevole Spissu è uno di quelli. Compassato, docile, barba in sintonia con l’ideologia, sorriso che riporta a foto ottocentesche. Ha dichiarato, proprio stasera, che abbandona il proscenio. Si mette a disposizione del partito. Mica della gente. Del partito. Alberto Sordi, buon conoscitore dei difetti italiani avrebbe dolcemente risposto: “Ma de che?” Oppure, parafrasando un suo grandissimo film (un americano a Roma) poteva riadattare il monologo con gli spaghetti: “ Spissu, tu me provochi e io mo’ te magno” . Perché, in realtà, le regole del gioco erano chiare e limpide. Due mandati e si torna a casa. Poi i mal di pancia, le voglia incontenibile di far valere le regole per gli altri e non per se stessi (e se qualcuno dice che non è leale, lo si taccia di giustizialista…). Bene avrebbe fatto l’Onorevole Spissu da subito, dal giorno successivo alla caduta della giunta a dichiarare, da buon attore che conosce le parti a memoria, che lui non avrebbe accettato altre candidature, che sarebbe tornato, tranquillamente, al suo lavoro. Che il servizio (perché la politica è un servizio) era finito. Adesso tocca ad altri. Ecco, questo avrebbe dovuto fare il buon Spissu. Ed invece, come nei peggiori b-movie (film di seconda categoria) ha ripetuto troppi ciak e la recitazione era frammentaria, ma la speranza era legata al fatto che, in ogni caso, il film avrebbe avuto successo. Non era così. L’abbandono dalle scene è molto mesto. Mi auguro soltanto che il partito per il quale l’Onorevole Spissu si è messo a disposizione gli dica, amorevolmente di fari da parte. Che abbiamo bisogno di gente che ritorni tra la gente a confrontarsi. Questo sarebbe stato un bel gesto. La bella frase. Che mi sarei aspettato. Che ci saremmo aspettati: “Torno al mio lavoro”. E l’Onorevole Spissu non ha pronunciato. Peccato. Perché tutti aspettavamo un gran finale. Che non c’è stato. Siamo andati al cinema per vedere un film acerbo e forte e ci siamo trovati davanti ad una pellicola passata troppe volte davanti agli occhi. E l’attore protagonista ha perso un’occasione.

Ps: E’ chiaro che dall’altra parte (Partito delle Libertà) il problema dei due mandati non se lo pongono neppure. Quindi non potevo discuterne. Ma la questione morale non si osserva mai dall’alto in basso. Si comincia da casa propria. E scrivere questo pezzo mi ha procurato molto dolore.

– 30 GIORNI ALLE ELEZIONI 15/1/2009

La sostenibile forza dell’essere
Un carissimo elettore mi ha scritto (a proposito dell’articolo sulla mia amica emigrata a Milano) che condivideva, in linea generale l’impostazione, ma che non potevo dimenticare anche chi non aveva conseguito la laurea e non riusciva a trovare lavoro.
Non lo dimentico. Anche perché provengo da una famiglia di operai e di emigranti (ho un’altissima percentuale di zii emigrati in Belgio e in Olanda e in Germania che ha lavorato nelle fabbriche e nelle miniere e ho un’altissima percentuale di cugini ormai olandesi e francesi e tedeschi) e capisco le difficoltà che oggi si riscontrano tra i giovani, laureati e senza titolo di studio. Io sono per un futuro diverso, un futuro concreto, dove al centro di questo complicato futuro deve esserci “la persona”. Ho sempre creduto fortemente negli uomini. Ci ho creduto – e ci credo – sostanzialmente per mestiere, scommetto quotidianamente sui presunti “ultimi” e quindi, non potrei non essere d’accordo sul fatto che tutti debbano avere diritto alla propria parte di riscatto.
Ho sempre creduto però anche nel sapere e nella conoscenza. Che non significa avere una laurea. Mio nonno – analfabeta – era un poeta estemporaneo. Ed era bravissimo. Almeno così raccontavano le persone che lo ascoltavano nelle piazze dei paesi dove ebbe modo di esibirsi. Mia nonna aveva una scrittura sottile e minuta. Scriveva piccole frasi ma aveva mani forti, tanto da riuscire a portare avanti una famiglia di undici figli. Il sapere era nel fare e nel saper fare. E’ chiaro che oggi dobbiamo riuscire ad affrontare il futuro con occhi diversi. Oggi non è più possibile non scommettere sull’istruzione e sula formazione, oggi non è più possibile dimenticare il terzo fattore per la crescita intellettuale: Il saper essere. Ecco, su questo dobbiamo confrontarci. Su una formazione che parta dall’esperienza ma che ci porti a qualificare le imprese e il lavoro. Non dobbiamo puntare sulle cattedrali nel deserto, sulle grandi fabbriche, su quell’alienazione che non ha futuro. Dobbiamo, invece, puntare su un’impresa sostenibile, basata essenzialmente sulla qualità. Dicevo sempre ai detenuti del carcere di Alghero impegnati nelle varie lavorazioni: “Noi non dobbiamo aspettare che qualcuno ci acquisti il prodotto perché siamo detenuti e quindi, qualcuno si sente in dovere di farlo per un atto pietistico. Noi dobbiamo vendere il prodotto perché siamo i più bravi.”
Ecco. Non è importante avere la laurea o il master. E’ importante credere nella possibilità di essere protagonisti. La nostra terra ha qualità e offerta da vendere. Dobbiamo riuscire a esportare questa ricchezza. Questo è un punto su cui credo. E ci credo fortemente. Mi auguro che ci siano tanti sardi disposti a credere in se stessi e nella loro terra.

– 29 GIORNI ALLE ELEZIONI

Il peso delle parole

Prima trasmissione dove sono stato presentato come “politico”. E’ la prima volta che mi capitava. Ho scelto la camicia giusta, righine blu, cravatta blu con piccolo sfondo giallo. Piccoli accorgimenti estetici e molta paura in tasca. Perché in televisione o nelle presentazioni di libri e nei convegni, alla mia presenza avevo sempre dato un senso. Stasera dovevo trovarlo. E non è stato facile. Eravamo in quattro. Un esponente dell’UDC (quelli di Casini che, in Sardegna, stanno con il padrone), uno di rifondazione comunista (che sta, ovviamente con Soru) e un esponente del partito socialista italiano che ha un proprio candidato alla presidenza. Il giornalista, un giovane ragazzo con una giacca completamente sbagliata, si presenta in maniera docile. “Vi faccio alcune domande sull’attualità nazionale per poi passare a come ha lavorato la giunta Soru, il problema del lavoro, dell’ambiente, della chimica (la chimica? Cioè? Mi chiederà le formule? Organica o inorganica? Dio avevo sempre sette in chimica, ma è passato un secolo….) del PUC del PPR, della Legge 4, della formazione e di altre piccole cose.”
Sorrido. Un sorriso docile che nasconde il mio grandissimo imbarazzo. Non sono fatto per questo mestiere e questo mestiere non è il mio. Non potrà esserlo. Ci sediamo con malcelata calma mentre ci microfonano. Tutti hanno sguardi compassati. Sono stati e sono sindaci o vicesindaci, sono stati o sono assessori, vice presidenti di qualcosa. Quando il giornalista mi chiede come dovrà presentarmi disegno un’espressione simile a quella di una diga che sta per crollare. Lo guardo. Mi guarda. Lo osservo. Guardo la mia agenda dove avevo parcheggiato qualche parola da usare durante il dibattito, un po’ come le rotelline che si inseriscono dietro le biciclettine dei bambini. Per non cadere, mi ero detto. Per non cadere subito, meglio appuntarsi qualcosa. Fa molto politico. Forse. Il giornalista mi guarda e aspetta. Con una faccia di quelle che non riescono ad attendere, da ultimo metrò: “Scrittore, dico. Anzi, lettore che scrive libri.” E’ più carino.
Sorride e decide -almeno così credo – di cancellare il mio volto dagli ipotetici politici dei prossimi anni. Sguardo che dice:”Questo non potrà mai andare avanti.”
Prime domande e prime timide risposte. Non trovo le parole, non le cerco neppure sull’agenda, la biciclettina vacilla, ondeggia, vedrai che cado, vedrai che cado.
E invece….. qualcosa dico e tutti ascoltano. Con una certa attenzione. Parlo in maniera fluida, come sono abituato a fare nelle mie presentazioni. Tento di essere semplice, ma non semplicistico. Muovo troppo le mani. Lo vedo dal monitor, ma sono gesti che camminano da soli. Gesti del sud. E allora continuo a mordere i pensieri, a stare attento a dover spiegare. Parlo della formazione e dico che Soru è una metafora. Si, dico proprio così. Questo primo mandato si è basato sul fare e saper fare. Il secondo dovrà puntare sul saper essere. Nessuno dice niente. Nessuno afferma che sono sciocchezze. Sono visibilmente compiaciuto. E spaventato. Dalla domanda sulla chimica. Che il giornalista, puntualmente pone. Mi chiede della SIR, dell’industria, dei posti di lavoro. E dico che non si scherza sulla pelle della gente, che non si promettono 100.000 posti di giardiniere a gente che lotta quotidianamente per mantenere piccole frattaglie di occupazione. Dico che il problema della chimica è atavico, che è tra le priorità del prossimo consiglio regionale, che dobbiamo pensare ai nostri giovani, dico anche che loro aspettano una risposta da una generazione che è in declino e che dobbiamo preoccuparci di essere la prima generazione, dopo tanti anni, a regalare ai nostri figli un futuro peggiore di quello che abbiamo conosciuto noi. Poi vorrei dire tante cose, vorrei parlare di dignità, del lottare per non essere servi. Riesco ad aggiungere, velocemente, che dobbiamo riappropriarci della nostra memoria e di essere fieri della nostra gente. Sono stato troppo precipitoso, giocavo troppo con la penna.
Ma non sudavo.
Raggomitolavo pensieri mentre gli altri candidati dimostravano tutta la loro bravura. Snocciolavano pacchi di appunti, percentuali, numeri mirabolanti, norme, strategie.
Bravi. Soprattutto uno. Il socialista. Era davvero dentro la parte. Me lo vedevo già consigliere regionale. Bel sorriso e sguardo forte. Da socialista. Poi ha detto qualcosa che ha calpestato il mio umore e ha risvegliato la mia coscienza. Ha detto che Soru era un arrogante e che dovevamo ritornare al primato dei partiti. Allora, quando il giornalista mi ha concesso la parola, con la leggerezza di un attore consumato che regalava la scena ad uno che non avrebbe mai avuto la parte in nessun teatro della politica, ho guardato forte dentro la mia agenda. Non c’erano le parole, C’era soltanto una piccola frase che avevo appuntato: “Dobbiamo essere protagonisti”.
Ho guardato dentro il monitor, ho osservato lentamente detnro l’occhio della telecamera e ho detto che quella frase non mi piaceva. Non mi era mai piaciuta. “Sono per altri tipi di primato, ho detto. Quelli della gente e per la gente.”
Ci siamo salutati con sguardi tesi e poco concilianti. Sarò un pessimo politico mi sono detto. Non ho le parole adatte. Rientrando a casa, su rai tre parlavano di Fabrizio De Andrè e passavano le sue canzoni. Mi piaceva quella frase finale, quella frase che è un bel programma politico: “ e mai che mi sia venuto in mente, di essere più ubriaco di voi, di essere molto più ubriaco di voi”.
Adesso, io non so se ho superato l’esame. Ma lo volevo raccontare in qualità di lettore che scrive e che ama guardare le cose da dentro. Non ho le parole adatte ad ogni circostanza, ma ho parole. E alle parole ritorno. E con le parole sorrido e penso e rifletto. E ascolto. E aspetto. Perchè le parole ci uniscono e raccontano storie. Come questa.

– 28 GIORNI ALLE ELEZIONI

 

 

– 28 giorni alle elezioni – Il sito di Giampaolo Cassitta
Una promessa elettorale

Stasera sono decisamente stanco. Ho girovagato in alcuni luoghi ad incontrare amici, molti non li vedevo da tempo, altri hanno deciso di darmi una mano in questa mia folle avventura. Che, per certi versi è divertente. Rivedo vecchie facce, abbraccio antichi sguardi, cammino con più forza, perché qualcuno dice che tutto questo è bello. E’ grande. Lo scrivono anche sul sito. Sei grande.
E io non capisco. Nel senso che provo un piccolo senso di smarrimento. Fa sempre paura la parola grande e il suo uso smodato che spesso fanno i giovani: E’ un grande. Sei grande o, più semplicemente “grande”.
Accolgo con dolcezza queste frasi, questi incoraggiamenti, ma comincio a chiedermi perché io debba essere considerato un grande, se è poi vero che io lo sia e che cosa diavolo serve continuare in questo modo. Non ho fatto niente. Ho deciso solo di scrivere questa storia in maniera essenziale e vera. E’ quello che so fare. E’ quello che penso di saper fare. La politica è una cosa complicata che ha le sue alchimie. Una cosa è osservarla in televisione o leggerla sui giornali. Un’altra è esserci dentro. Mi dicono che devo avere un programma, proporre cose, un elenco, una road map (non sopporto questi termini, ma c’è gente che mi assilla con la road map e con la check list) qualcosa che gli altri possano condividere. Ho cominciato a discuterne con gli amici, ho detto che bisogna partire dalla dignità, dal mettere al centro del problema l’individuo, che occorre lavorare per un progetto e che quindi dobbiamo prima comprendere ed osservare, che non possiamo darci degli obiettivi sbagliati, che dobbiamo essere capaci di poter verificare quello che diciamo, che dobbiamo poter valutare ed essere valutati. Mi dicono che tutto questo non funziona, che non può funzionare. Devi promettere qualcosa” mi dicono, “qualcosa di forte”. E io sorrido. Perché non so promettere. Ed è una frase che ripeto da una vita. Ai detenuti, che hanno una condizione terribile, quella della privazione della libertà ho sempre promesso molto poco perché ho sempre mantenuto quello che ho promesso. Mi dicono che qui non funziona, che non può funzionare. Perché in politica non può esistere un progetto serio che si basa sull’analisi scientifica dei bisogni, sulla possibilità di poter costruire un piano d’azione, che non sia una semplice promessa elettorale ma che si tramuti in una realtà?
Perchè la politica è un’altra cosa.
Allora, io voglio che la politica sia un servizio e non una cosa avulsa, diversa. Faccio una proposta, piccola ma sincera. Noi dobbiamo impegnarci in politica nella stessa misura in cui ci impegniamo dei nostri figli, della famiglia, del lavoro. Per fare questo chiedo a tutti i candidati se sono d’accordo, una volta eletti, a proporre al consiglio regionale della Sardegna una legge con un articolo unico e semplice: “Tutti i consiglieri regionali della Sardegna, nessuno escluso rinuncia allo stipendio da consigliere e accetta di espletare le proprie funzioni continuando a percepire lo stipendio precedente. Per i disoccupati o per chi non è in grado di dimostrare quanto guadagna mensilmente è prevista una diaria identica a quella percepita dal consigliere con lo stipendio più basso. I professionisti della politica, quelli che non hanno un lavoro certo e dimostrabile percepiranno lo stesso stipendio dei lavoratori socialmente utili.
Io sarò il primo firmatario. Attendo le firme dei circa 800 candidati a consiglieri regionali. Questo è il primo punto da cui partire. Dalla politica come servizio, come continuazione del proprio lavoro quotidiano. Il resto o il contrario non appartiene alla politica, appartiene semmai al costume di questo paese che prevede costi troppo alti davanti a persone che non riescono più ad arrivare alla fine del mese. La politica non è un provino per “il grande fratello”, la speranza di diventare ricco e famoso. Proviamo a partire da questo piccolo inciso. Lo dico a tutti – a me stesso per primo – e lo dico non perché, come può pensare qualcuno, ho la certezza di non essere eletto, lo dico con la speranza di esserlo per poter realizzare quanto ho scritto. Aggiungerò i nomi quotidianamente sino al giorno delle elezioni dei candidati che accettano lo spirito della mia proposta di leg ge. I miei lettori saranno aggiornati e potranno così giudicare gli 800 aspiranti a Onorevole del Consiglio Regionale della Sardegna e non dovranno mai pensare che si trovano davanti a 800 persone che sperano di poter vincere un “posto di lavoro”. Per i sardi e per i consiglieri onorevoli sarebbe davvero una cosa tristissima.
Via con le firme.
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– 27 GIORNI ALLE ELEZIONI

– 27 giorni alle elezioni – Il sito di Giampaolo Cassitta
La complessità e le anime bianche

Ci sarebbero molte storie da raccontare in questa lunga giornata, che ha visto la presentazione definitiva delle liste degli oltre 1000 candidati che aspirano ad un posto di consigliere regionale della Sardegna. Ci sarebbe da soffermarsi su alcuni nomi storici e nuovi della politica isolana: Felicetto Contu, la cui prima candidatura risale al 1961 – avevo due anni!!!!! – e Mario Floris, che continua a cavalcare la scena dal 1974. Ci sarebbe poi da aggiungere che questi signori probabilmente i voti continueranno a prenderli perché c’è qualcuno, dall’altra parte che rinnova la fiducia nei loro confronti. Gente di cui nessuno ricorda un gesto forte, importante, culturalmente accettabile gente per cui l’unica cosa che viene in mente è :”Sono politici di lungo corso, preparati”. A che cosa? Non lo sappiamo ma mettono, comunque molta tristezza e dire, da parte di Cappellacci, che lui è l’uomo del rinnovamento ecco, visti certi candidati mi sembra davvero fuori luogo. Ci sarebbe un’altra storia da raccontare che fa parte del lungo romanzo del Presidente del Consiglio che continua, con molta faccia tosta, a t i fine trascorrere i fine settimana in Sardegna (solo nel periodo elettorale, chissà perchè) spendendo i soldi dello stato italiano per muoversi con le scorte per pubblicizzare il suo giocattolo sconosciuto: Ugo Cappellacci. Nel mentre ci racconta, con la sua faccia cotonata e disposta alla plasticità, che i nuraghi erano dei magazzini che servivano a custodire i prodotti. Ora, a parte la trovata da “varietà” che si usava nella vecchia campagna elettorale, quando si effettuavano i comizi in diverse città e dove il futuro Onorevole salutava sempre gli astanti ringraziandoli e commuovendosi perché lui, in quella città, proprio in quella, aveva svolto il servizio militare, questa del nuraghe è davvero enorme. E’ dovuto intervenire il buon Lilliu, uno dei più grandi conoscitori della storia dei nuraghi, per ricordare al Presidente del consiglio che lui, accademico dei Lincei, era “impressionato da quelle dichiarazioni in quanto ridurre a magazzini la complessità di quell’insediamento mi obbliga a precisare che si tratta di case-fortezza di un grande complesso insediativo”. E’ li che ho capito il problema di Berlusconi. L’uomo non riconosce la complessità delle cose. E’, come dire, un facilone, uno che ama sorridere e risolvere i problemi in maniera spiccia. Lavoro? Centomila posti da giardinieri. Ma in Sardegna ci sono solo (!) ottantamila disoccupati. Ecco, i soliti comunisti pessimisti, quelli che non vinceranno niente. Un piccolo piano Marshall, ecco la soluzione ai sardi. Ci penso io. Ma non siamo in guerra, non vogliamo assistenzialismo, abbiamo una storia complessa.
Ecco, Presidente, la nostra è una storia complessa, che parte dai nuraghi e che lei non è in grado di comprendere. Per eccesso di semplificazione.
La complessità. Ci sarebbe questa bella storia da raccontare, su quanto è difficile ed emozionante tentare di capire gli esseri umani, in senso antropologico, sociologico. In senso etico. Capire che non è possibile assistere a dei fine settimana che si riducono a proclami di un padrone a quelli che reputa i suoi servi. Che noi non abbiamo bisogno di questo. Che siamo testardi e fieri. Che siamo sardi. “Io amo la Sardegna” e quando sento questa frase, ho davvero paura. Perchè troppo semplice. E ovvia. Ma io ho dentro un vecchio proverbio “furat chie furat in domo e chie benit dae su mare” e di quelli che dicono, semplicemente, con sorrisi disegnati, che amano la Sardegna diffido. In maniera semplicemente complessa, ma diffido.
Ma voglio invece soffermarmi su una frase di Barack Obama, ripresa da Mario Calabresi (a proposito, ha scritto un bellissimo libro sulla figura di suo padre, bello e intenso) su Repubblica di oggi: “Queste elezioni non sono state la fine di un percorso ma l’inizio di un cambiamento”. Mi è piaciuta e mi piace pensare che anche in Sardegna queste elezioni non devono e non possono essere la fine di un percorso già cominciato, ma l’opportunità di poter continuare quello che il Presidente Soru in questi cinque anni ha fatto. Soprattutto la restituzione dell’orgoglio di essere popolo e padrone della propria terra.

Ps: nessuno degli oltre 1000 candidati ha risposto al mio appello sulla proposta di legge che riguarda il nuovo modo di concepire lo stipendio di consigliere regionale della Sardegna. Qualcuno dei lettori ha gioito, qualcun altro ha puntualizzato che rischia di essere solo una promessa demagocica. Capisco. Ma io (e chi mi conosce ha pesato la mia testardaggine) ci credo e aggiungo che dobbiamo decidere che cosa fare dei soldi risparmiati dagli stipendi (che non sono pochi). Propongo la costituzione di un fondo sociale per gli orfani di quei genitori caduti sul lavoro, ma che non avevano nessuna assicurazione e che, purtroppo per loro, non potranno godere di nessuna pensione. I loro padri erano fantasmi e loro sono anime bianche. Ecco, il fondo sul risparmio dagli stipendi dei consiglieri possono costituire questo fondo da devolvere a bambini, ragazzi,mogli, che hanno diritto ad un futuro diverso, più vero e non solo fatto di promesse di plastica. Sapevo che la mia proposta di legge era una provocazione (poco letteraria e molto cattiva) ma non cambio idea. Una cosa, subito, la possiamo fare. Il cinque per cento dello stipendio, vada subito a costituire un fondo per queste anime bianche. Non ci vogliono le leggi, non ci servono emendamenti. Solo un piccolo atto di coraggio. (Chiedo il 5% proprio perché non voglio fare una proposta demagogica ma seria, da prendere in considerazione) Non mi dite che così continuiamo ad alimentare il lavoro nero. Perché questa risposta pelosa la giro a chi, comunque continuerà, costretto, a lavorare in nero, a morire e lasciare i propri figli e le proprie mogli senza nessuna bella storia da raccontare. Ecco, proviamo con questo primo, piccolo passo. E’ un gesto che ci può far crescere. Per i nostri figli, per i padri morti dentro questa terra, per la rabbia e la vergogna che dobbiamo avere quando questi ragazzi non hanno nessun diritto se non quello di sopravvivere e, magari, cercando un lavoro in nero.
Di questo mi piace dire e questo vorrei fare una volta diventato Consigliere Regionale. E, in ogni caso vorrei lo facesse qualcun altro. Sarebbe un primo gesto forte, una risposta a tutti i piani Marshall, ai sorrisi facili e ai fine settimana dei ricchi padroni che non capiscono i nostri nuraghi perché non amano le complessità. E rischiano di non capire un popolo.

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– 26 GIORNI ALLE ELEZIONI

LA SPORCA FAVOLA DI ALINA E MATTEO

Ieri parlavo di lavoro nero. Di persone che muoiono e che spariscono. Una condizione assurda ma che esiste. E ho detto che la cosa peggiore è abbandonare i figli e le mogli di questi ragazzi, a volte stranieri, senza neppure la prospettiva di una pensione. Ho aggiunto che, se dovessi essere eletto il 5% dello stipendio da consigliere regionale della Sardegna andrebbe a costituire un fondo da destinare alle vedove e agli orfani. Alle anime bianche. Non ho cambiato e non cambio idea. Non ho ricevuto però nessun consenso da parte degli oltre 1000 candidati a consigliere. Io aspetto. Non costa niente attendere. Come non costa niente donare il 5%. Non è neppure troppo demagogico o populista. Vi regalo una piccola storia. A chi vota e a chi chiede il voto. Pensate alle tante Alina che non hanno occhi e bocche e mani e dignità. Perché qualcuno, non assicurando il marito o il padre, li ha costretti ad una agonia terribile: chi vende lavoro nero non regala solo morte, ma recide il futuro delle famiglie.
Aspetto qualche firma per il mio “misero” 5%. Sarebbe un bel gesto.

Dicono che padrone Matteo paga meglio di padrone Antonino. Lo dice mia moglie Alina e lo dice perché lo ha sentito giù a Cerignola quando è andata a comprare il pane e i peperoni. Quattro euro l’ora e bicchiere di vino. Questo dicono di padrone Antonino. Devi solo guidare trattore per tutto il giorno, sotto gli ulivi. Nessuno ti conosce, tu non mi conosci. Trattore senza targa e assicurazione. Tu capito? Parlano strano da queste parti. Chissà perché davanti ad uno straniero eliminano articoli e parlano al futuro. Hanno fiducia che tutto vada avanti e credono nell’avvenire. Ma non vogliono più lavorare nei campi. E neppure pagare. Preferiscono farlo fare ad altri, agli ultimi. Ai nuovi ultimi. Essere rumeni significa essere ultimi. Meglio. Sotto gli ultimi. Perché ci troviamo in una sorta di limbo inconfessabile: né più extracomunitari ma neppure degni di regole. Essere rumeni in un sud dolce e struggente, caldo, afoso, giallo e forte, significa avere più sfortuna del solito: perché qui, da queste parti, a Cerignola hanno la tristezza dell’emigrazione e se la portano dentro, hanno vecchie rughe di povertà ma hanno deciso tranquillamente di dividerla con altri anzi, la regalano per pochi euro, senza possibilità di barattare. Essere rumeni e laureati in letteratura italiana, da queste parti, penso sia molto blasfemo. Ecco perché mi gioco parte del buon senso non usando gli articoli e gli aggettivi e preferisco non coniare i verbi, lasciandoli all’infinito, come il sole dell’avvenire.
Alina dice che tutto questo non può continuare. Che migliorerà e che la colpa è un po’ mia. Tra tutte le facoltà possibili mi sono messo a studiare letteratura di un paese che paga tre euro e cinquanta per guidare un trattore. Senza assicurazione. Alina dice va bene anche così, anche se sorride poco e bacia sempre meno forte e allora la sera provo a raccontarle che dentro questo paese c’è nato Dante che ha costruito con una perfezione stilistica il gioco dell’inferno e del purgatorio e del paradiso e che metaforicamente noi abbiamo cominciato con il primo canto e siamo nella selva oscura. Alina mi guarda e mi stringe lentamente. “Dovevi studiare inglese,” mi dice. “Questa è una lingua morta, come questo paese, come Cerignola, come Foggia, come la Puglia, come l’Italia. “
Alina non guarda e senza parole si spoglia, dentro un buio colorato del Sud. E allora le racconto che andremo al Nord, in Piemonte, nelle langhe, dove potremmo vedere le collina di Cesare Pavese e lei mi cintura con le sue braccia soffici e mi sussurra: “ma non si era suicidato?.” Alina ha il sapore della mia terra e allora mi chiedo se ha un senso essere rumeni o romani o americani e canadesi e perché dobbiamo rincorrere un trattore e il suo padrone e perché non possiamo pensare di acquistare una casa da queste parti, magari colorandola tutta di arancione e di giallo e farci cinque figli per insegnargli l’italiano e la letteratura. Perché siamo nati dalla parte sbagliata dice Alina mentre mi fruga.
Padrone Antonino lo conosco di vista. Assume rumeni, bulgari, qualche polacco ma la maggioranza che lavora nei campi è composta da ghanesi e nigeriani. Ha una sua politica: noi “nuovi europei” possiamo lavorare sulle macchine perché è più facile trasgredire le leggi. Non siamo più extracomunitari e non c’entriamo più niente con la Bossi-fini. In realtà mi sento più fratello del ghanese che non di Padrone Antonino. Che qui, da queste parti si fa chiamare padrone anche dagli italiani. Ed è un termine desueto, quasi insignificante, che ricorda gli scioperi degli anni sessanta, i proclami dell’allora partito comunista ma che, incredibilmente è ritornato di moda. Sembra quasi il riconoscimento di uno status essere chiamato padrone. E Antonino padrone lo è per davvero. Perlomeno nella perfidia. Rozzo, sporco e con un pessimo carattere. Barba mal rasata, accento profondo del sud, occhi abbronzati e viscidi, ha sempre un bastone in mano, una sorta di Mosè che deve accompagnare il suo popolo nella terra promessa. A due euro l’ora. Nessuno protesta. C’è anche chi paga di meno. D’estate raccolta dei pomodori nel terreno a valle. Si dorme vicino al campo, dentro delle piccole baracche. L’ho fatto per qualche anno. Quando ero ancora extracomunitario e non avevo, come invece oggi, nessun diritto ad esistere.
D’inverno gli africani spariscono verso l’interno, a raccogliere olive. Io mi sono fermato con Alina. Ho riattato una vecchia casa colonica dove ci piove e dove le finestre sono composte da cartone al posto dei normali vetri. Che quando piove si inzuppa e Alina va a cercare scatole nei supermercati di Cerignola e quando ritorna piange e butta le scatole appiattite sul piazzale della casa e mi urla in rumeno: “sono convinti che noi traffichiamo in cartone, credono che le scatole ci servano per infilarci ortaggi o chissà che cosa pensano che rubiamo”. Avevamo promesso di parlare in italiano dico io,e lei mi maledice in rumeno.
Poi un grande affanculo.
In italiano.
Ho paura. Per Alina e per i miei figli. Che rimangano senza un padre. E senza un futuro. Perché padrone Antonio non assicura niente e nessuno. E se dovessi morire Alina non avrebbe occhi per guardare lontano. E neppure i miei figli. A questo penso quando la notte accarezzo la pelle liscia e forte di Alina. E alla speranza che Dio domani sia occupato in alte faccende e che non decida di predersi la mia vita. Non sono assicurato.

Ps: oggi, nella maratona elettorale è stata presentata la lista dell’italia dei valori. Prima a Sassari e ad Alghero. Noi, tredici pulcini impauriti ci siamo presentati al cospetto di simpatizzanti e curiosi. Eravamo gioiosamente agitati. Però avevamo sguardi sereni e dignitosi. Non ho visto nessuna avidità. E questo, in un certo senso mi ha rassicurato. Ho fatto una buona scelta. Far parte di una buona squadra è la premessa per non sfigurare. Spero qualcuno ci scommetta qualcosa.

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– 25 GIORNI ALLE ELEZIONI

– 25 giorni alle elezioni – Il sito di Giampaolo Cassitta
PICCOLE COSE

Partiamo dalle piccole cose. Perché è facile sparare grandi proclami, improntare una campagna elettorale patinata, fatta di belle foto, manifesti, parole dolci, promesse che svaniranno dopo una settimana. E lo sappiamo tutti, ma continuiamo ad ascoltare le sirene, noi sardi diffidenti del mare che ci isola ma che ci mantiene integri. E allora perché non partire dalle piccole cose, quelle di tutti i giorni, quelle che non ci porteranno a navigare in un futuro illuminato e facile, ma che sicuramente riusciremo a riconoscere. Questa terra che è paesaggio, che è cultura millenaria, musica, rumori lontani. Questa terra che ha sofferto, che ha combattuto, che è stata colonizzata, sfruttata, usata e gettata, questa terra che ha sapori di corbezzolo e di miele, di mirto e di silenzio. Questa terra che ha prodotto minatori e poeti ed emigranti. Questa terra che ha pianto lacrime dure e che ha covato odio e incomprensione. Questa terra che ha generato sequestri e sequestratori, questa terra dura da lavorare. Questa terra che sa però riaprirsi e dialogare, mettersi in gioco, scommettere sulle piccole cose. Dico questo perché sento montare la panna della demagogia. E mi spavento. Mi spaventano i piccoli uomini dalle grandi promesse. Mi spaventano quando confondono la storia, quando usano un popolo senza amarne le risorse e i saperi. Senza ascoltare quel silenzio che abbiamo dentro. E che racconta piccole storie. Si parla di sviluppo sostenibile, coerente con le vocazioni del territorio, si parla di competitività, si parla di vantaggi economici del turismo che non è, beninteso costruire villaggi patinati per veline e calciatori che sorridono ai cognomi sardi che finiscono tutti con la “u”; un turismo che deve tener conto di tutto il territorio e che possa presentarsi a tutti in maniera accogliente, silenziosa, educata, in maniera etica. Un turismo che presenti la nostra terra in tutte le sue piccole meraviglie. Un turismo fatto di piccole cose. Non quindi solo manifestazioni mirabolanti e di grandi concerti rock, ma anche un condensato avvolgente di musiche striate e diffuse, che diano l’idea del nostro sentire. Perché dentro questa terra ci viviamo noi e solo noi possiamo mostrare l’anima più vera a chi la visita.
Piccole cose. Che sono la solidarietà. L’attenzione per gli altri. Che sono i nostri figli, ma non solo. Ci sono troppe file alla Caritas di troppe città. E troppi occhi che scodellano tristezza. C’è la fierezza di famiglie che non si presentano al cospetto delle mense cittadine, ma non hanno moltoda presentare sul loro tavolo. Dobbiamo partire da queste piccole storie. Ascoltarle e non prestare semplice assistenza. Noi dobbiamo lavorare per creare piccole soluzioni che portino a risolvere il male quotidiano. Noi dobbiamo scommettere sul futuro di chi ha le ali spezzate, di chi vorrebbe continuare a sperare. Noi dobbiamo, attraverso progetti mirati, coinvolgere chi è in difficoltà, dobbiamo guardare a loro senza costruire egoismi o inventare paradisi che non esistono. Partiamo dunque dalle piccole cose. Dobbiamo continuare ad adottare interventi sulla famiglia, sul lavoro, dobbiamo saper costruire opportunità per tutti, dobbiamo riuscire ad essere credibili come politici e come cittadini. Ecco perché chiedo di devolvere il 5% dello stipendio da consigliere regionale agli orfani e alle vedove di chi è morto sul lavoro e non era assicurato. Nessuno dei candidati ha ancora dato l’assenso a questa proposta. E mi dispiace.
Partiamo dalle piccole cose. Chi ama gli occhi di un bambino può raggiungere l’immensità. Le piccole cose a volte non si vedono, ma sono le più genuine. Come le nostre storie, le nostre pietre, i nostri nonni, gli emigranti, come le nostre miniere e il nostro sangue riversato. Come la nostra piccola e forte identità che ci accompagna e ci mantiene fieri di appartenere ad un popolo che ha dentro il sapore e l’odore di una terra antica, bellissima e dura. Di una terra fatta di piccole e intense storie e di grandi e immensi occhi. Che sanno scrutare.
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– 24 GIORNI ALLE ELEZIONI

– 24 giorni alle elezioni – Il sito di Giampaolo Cassitta

Non ci metto la faccia………………..

Ci sono piccoli rumori nell’aria. Che io percepisco. Hanno percorsi infinitesimali, ma giungono, comunque, al mare. Come ogni piccolo rio. Sono parole e frasi e discorsi che entrano dentro la quotidianità, che lacerano i silenzi e che producono considerazioni. Sono quelle nuvole dense che si addensano nei giorni elettorali. Che si osservano con disinvoltura e, da parte mia, con magnifica sufficienza. Alla fine, dicono le parole, vinceranno gli stessi. Si condensano i voti, si evaporano gli ideali e rimarranno le promesse. Un film già visto, ripetuto, identico in tutti suoi rituali. Un film che non ha molte azioni. Un brutto e orribile film. Che ha un finale scontato. Le facce, saranno quelle, perché poi, tutto sommato, mica possiamo scommettere sugli ideali, su coloro che non promettono niente, su quelli che chiedono un impegno anche minimo (il 5% dello stipendio di consigliere regionale) su questi piccoli furbi che vogliono, in qualche modo, diventare i piccoli padroni del vapore.
Ho ricevuto, stamattina, una lettera (forse la prima delle tante che riceverò) che annunciava la candidatura di un commercialista per il partito della libertà. Non ricordo il nome né la faccia, né questa lettera avrebbe in qualche modo modificato la mia scelta del voto. (non è mai successo) Allora mi chiedo: perché i candidati spendono molti euro per far arrivare la propria faccia e una lettera a tutti gli elettori? Ma, soprattutto, chi consegna il mio indirizzo a questi candidati? Sono residente a Cagliari da appena tre mesi, non ho un telefono fisso e quindi, ho il sospetto che qualcuno del comune regali le identità a questi signori. Che dovrebbe essere un reato. Ma sorvoliamo. Non è molto importante. Ho deciso – e l’ho deciso da subito – che non avrei speso molti soldi per questa campagna elettorale. Se vogliamo essere dalla parte della moralità e dell’etica, dobbiamo, in qualche modo, dare il buon esempio (le piccole cose che accennavo ieri). Pubblicherò, sul mio sito i conti delle mie spese e fotocopie delle fatture che ammontano, ad oggi a € 480, IVA compresa. Penso di aver concluso con le spese. Anzi ne sono quasi certo. Quando sono andato a ritirare i miei 8000 santini (e mi parevano decisamente molti) il tipografo mi ha salutato con un sorriso: “semplice candidato senza nessuna speranza?”. Questo il commento. Aveva, in cantiere la stampa di 250.000 volantini e altrettante lettere e manifesti e adesivi per il partito dei riformatori. Sono cose che mi mettono una grande tristezza. Nell’anima. Non è possibile che non possiamo modificare tutto questo. Non vedrete mai nessun manifesto con la mia faccia. Io, di tutto questo ne vado fiero.
Se incontro qualcuno che ha votato grazie ad un poster cambierò idea.
E paese.
Spero ci siano persone oneste e libere da poter scegliere non in base alle piatte fotografie patinate, ma per quello che le persone rappresentano. Sarò un idealista ma non cambio idea. Non ne sono capace.

Ps: Gianni Piredda, candidato per l’Italia dei valori nella circoscrizione di Sassari devolverà, se eletto, il 5% dello stipendio di consigliere regionale agli orfani e alle vedove dei caduti sul lavoro che non erano assicurati. Alle mie anime bianche. E dunque, su 1020 candidati, siamo in due. Non dispero.Attendo altre adesioni.
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-23 GIORNI ALLE ELEZIONI

-23 giorni alle elezioni – Il sito di Giampaolo Cassitta

Un fondo sociale per le anime bianche.

Ci sono temi nobili e altri meno nobili, dentro questa campagna elettorale. E ci sono anche argomenti e argomentazioni facili, fluide, comprensibili, mentre altre restano gonfie di curve, di puntualizzazioni, di spiegazioni solide ma contorte. Per me, che non sono un tecnico è molto semplice giocare sugli argomenti “classici”, di facile presa. Come, per esempio, i costi della politica, ridurre i parlamentari e gli stipendi. Ma poi, una volta eletti ci viene raccontato che queste cose banali e semplici diventano, dentro l’aula consigliare, complesse e difficili e, soprattutto, non sono le priorità per il paese. E’ demagogia. Come i conti alla mia piccola proposta alla quale ritorno perché pur considerato da molti un tema facile e “demagogico” è, in realtà un tema serio e molto importante e, senza pause poetiche, intendo spiegarlo meglio. Sarebbe infatti semplice dire abbattiamo i costi della politica dimezzando gli stipendi ai parlamentari sardi. Semplice e semplicistico. Come sarebbe altrettanto facile dire che, se saremo eletti, noi 1020 aspiranti a 80 posti da consigliere (l’effetto grande fratello è davvero devastante) ci batteremo per diminuire i costi della politica. Vi chiedo, onestamente, avete mai sentito dire qualcuno che promette di aumentarsi lo stipendio da Onorevole? Sarebbe piuttosto stucchevole e di pessimo impatto. Dunque è facile fare questo tipo di promesse. Non ci crede nessuno ma nobilita gli animi. Oppure, altra rilevazione che mi viene mossa, è facile promettere perché tanto non sarai eletto. Su questo secondo punto non sono d’accordo. Ho sempre fatto le cose con estrema serietà e, accettando la candidatura per l’Italia dei valori, ho sempre pensato di farcela e di essere eletto. Sarebbe davvero stravagante pensare il contrario. Questa condizione di “eletto” e di “presunto onorevole” penso l’abbiano in molti, la stragrande maggioranza dei candidati che meritano, insieme a me, assoluto rispetto e dunque attenzione per le cose che vengono dette e dichiarate in campagna elettorale. Io le scrivo addirittura su un sito, le raccolgo in una pagina dedicata e le conservo. A futura memoria. Con la consapevolezza che manterrò la promessa. Perché credo fermamente in quello che dico e in quello che faccio. E a dimostrarlo sono i miei impegni nel sociale, nel volere fortemente un carcere improntato alla rieducazione come quello di Alghero, con lavorazioni di falegnameria e tipografia, nel credere nella scuola e nell’istruzione anche all’interno degli istituti penitenziari e nel credere, soprattutto, alle cooperative sociali, a dare delle opportunità ai giovani che hanno diritto a rimanere nella propria città e nella propria regione. Questo è stato per anni il mio impegno che continua anche oggi, in una veste più ampia ma che è improntato, sempre, sulla restituzione della dignità alle persone detenute, al miglioramento della qualità della vita dentro gli istituti penitenziari, qualità che passa anche attraverso l’istruzione, il lavoro e la formazione professionale e alla restituzione di uomini che, una volta terminata la pensa possano trovare una vera inclusione nella società, attraverso il lavoro.
Ho sempre lavorato per progetti e sono stato abituato a raggiungere gli obiettivi. Piccoli, a volte semplici ma mai semplicistici. Sono considerato, da chi mi conosce, un pragmatico, uno che non si arrende e che lavora strategicamente per raggiungere l’obiettivo. Parto dalle piccole cose che possono divenire grandi. Come il mio 5% da devolvere ad una causa dimenticata da tutto o da tutti. Dicono che è poca cosa. Facciamo i conti. Qualcuno mi ha fatto notare che devo precisare se il mio 5% è sul netto o sul lordo. Specifichiamo: “su quello che il consigliere regionale riceve, a qualsiasi titolo mensilmente da parte delle casse regionali” (escluse, ovviamente le entrate personali che nulla hanno a che fare con lo stipendio da Onorevole). Penso, così mi è stato detto, che ciò che viene realmente percepito si aggira intorno ai 9.000 euro e che, quindi il 5%, se non sbaglio è di € 450 per parlamentare, al mese. Sono un pragmatico e faccio subito due conti: in un anno (tredici mensilità) ogni consigliere potrebbe versare, al conto solidarietà € 5850. Se i consiglieri fossero tutti d’accordo (ovvero 80 consiglieri) il fondo solidarietà “anime bianche” ammonterebbe in un anno a € 468.000 e nell’intera legislatura (cinque anni) si raggiungerebbe la ragguardevole cifra di due milioni e trecentoquarantamila euro che non è demagogia spicciola, ma una risposta solidale a orfani e vedove di persone che, lo ricordo ancora, non hanno diritto a nessun vitalizio in quanto il loro padre, marito o compagno è morto sul lavoro, ma senza nessuna assicurazione sul lavoro. Pensateci, oltre quattro miliardi a disposizione per poter far studiare i ragazzi, restituire un pezzo di dignità alle loro madri, piccole risposte per piccoli sorrisi. Ma sinceri. Non c’è bisogno di nessuna legge, di nessuna riunione, nessun grande proclama. A quelli che dicono basta con i costi della politica chiedo di stare molto attenti quando dovranno decidere con il loro voto, ai candidati chiedo invece di non dire semplicemente: “occorre diminuire il numero dei candidati e dei loro stipendi” sapendo benissimo che nessuno avrà la forza e il coraggio di farlo. Provate a confrontarvi con questa piccolissima proposta. E’ un primo passo per dimostrare che ci sono persone credibili in questo paese. Credibili, leali e solidali. E meritevoli della fiducia di un popolo, quello sardo, che ne ha sentite davvero troppe, comprese la novità di un Cappellacci che si diceva “non ha mai fatto politica” scoprendo poi che è stato assessore regionale in Sardegna e assessore del comune di Cagliari con risultati davvero deludenti. Infatti, Ugo Cappellacci, figlio del commercialista di Berlusconi, non è, come vorrebbero far credere, una novità della politica regionale. E’ stato assessore al Bilancio ai tempi della giunta Masala, anni 2003-2004: ovvero l´amministrazione di centrodestra che ha portato il bilancio regionale (di cui proprio lui era responsabile) ad una situazione drammatica. Lo stesso Masala è stato condannato dalla Corte dei Conti a rimborsare 470.000 euro (La Nuova Sardegna, 16 giugno 2008). Cappellacci è poi diventato assessore al bilancio del Comune di Cagliari: anche qui, con risultati pessimi che hanno condotto le casse comunali ad una situazione disastrosa.
Il nuovo che avanza è, in realtà, l’avanzo di un vecchio modo di concepire la politica, spero sorpassato.

AGGIORNAMENTO

Io sottoscritto, candidato a consigliere della Regione Automa della Sardegna, devolverò, una volta eletto, il 5% dell’introito netto mensile accreditato in qualità di consigliere regionale, ad un fondo sociale costituito tramite atto notarile. Detto fondo sarà utilizzato per restituire la dignità a tutti i figli, mogli/mariti e compagne/compagni conviventi a qualsiasi titolo, dei caduti sul lavoro dentro questa terra e che, non hanno ottenuto nessuna pensione o vitalizio dagli Enti preposti, in quanto le vittime non erano regolarmente assicurate.

FIRMATARI
Giampaolo Cassitta, candidato Italia dei valori – circoscrizione di Sassari
Gianni Piredda, candidato Italia dei valori – circoscrizione di Sassari
Federico Gandolfi, candidato Italia dei valori – circoscrizione di Sassari.

Le adesioni (che devono giungere per iscritto, in quanto saranno considerate documento valido come impegno formale) saranno inviate a megliosoru@giampaolocassitta.it
Aspetto con molta tranquillità, convinto che dobbiamo scommettere sulle piccole cose. Come questa.

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– 22 GIORNI ALLE ELEZIONI

– 22 giorni alle elezioni – Il sito di Giampaolo Cassitta
la società del malessere e quella del benessere.

C’è un rumore di niente nell’aria. Senza calore e senza colori. C’è un piccolo sussulto che ascolto ma non riesco a percepirne il suo itinerario, non so,insomma, da che parte arriva. E se arriva. Il rumore di niente ha parafrasi di sordità. Piuttosto, appare come un qualcosa che giunge, inconsueto, dentro le parole che si solidificano. Abbiamo sempre in tasca risposte certe se siamo matematici. O certe risposte se siamo politici. E’ sempre stato così e, probabilmente, sarà difficile contrastare questa credenza popolare. Dunque, sarà molto difficile che in questi ultimi anni riuscirò ad essere un matematico e non potrò mai essere un politico. Di quelli seri intendo. Anche perché da me tutti si aspettano qualcosa. Sei nuovo, sei una faccia nuova, tu devi dire qualcosa. Ho paura quando le persone chiedono e chiedono insistentemente . Ho paura perché penso abbiano diritto a delle risposte. Che io, nella maggior parte dei casi non so e non riesco a dare. Io non so quale sia la politica migliore per risolvere il problema della Sir a Porto Torres, ma sono certo che in pochi possano dare risposte certe su questo problema atavico, lontano, apparentemente semplice, ma terribilmente complesso. Io non so dare una risposta certa e neppure una certa risposta ma potrei dialogare e partire da un giorno, dal giorno in cui ci avevano detto che la fabbrica serviva per debellare i banditi, che gli operai servivano per creare una nuova classe in Sardegna, che la società del malessere si sarebbe combattuta in questo modo. Potrei partire da queste piccole considerazioni e sorridere. Senza dare nessuna risposta. Ma sorridere amaro. Perché in quest’isola non siamo diventati classe operaia e non abbiamo neppure debellato la società del malessere. Che non c’è mai stata. Ora, a dirla tutta, potrei continuare a giocare con le parole e aggiungere che c’è stato qualcuno, un giorno, che ci ha detto che importava la società del benessere. Quella dei ricchi, che avevano voglia di divertirsi, di squartare la noia con i loro soldi, che avevano voglia di acquistare terreni incolti, buoni per le capre e che di questi terreni avrebbero fatto una favola forte, per ricchi. Patinata. Di quelle dei grandi giornali. E noi, minchioni, ci abbiamo creduto. Dopo la società del malessere che non avevamo, siamo passati a quella del benessere che non meritavamo. Ecco. Potrei dire queste cose, potrei dire che io abbasso gli occhi quando vedo un sardo che lavora come cameriere nei locali della costa smeralda. Li abbasso perché mio nonno, che non sapeva leggere ed era – secondo me – un anarchico dolcissimo, mai avrebbe accettato di essere servo in casa propria. Potrei dire che oggi difendiamo anche gli errori, perché anche quelli ci portano voti, potrei dire che la Sir ha rovinato il golfo di Marinella e dell’Asinara. Potrei. Come potrei dire tante altre cose utili e forse interessanti. Ma c’è rumore di niente nell’aria. Quel niente che ha sapore antico. Sapore di vecchie storie. Non c’è nessuno disposto a parlare di queste cose. Nessuno. Ognuno bussa ai propri amici e parenti e chiede. Con la speranza di ottenere qualcosa. Rumore di niente. Che assorda gli animi.
AGGIORNAMENTO sulla mia proposta elettorale

Io sottoscritto, candidato a consigliere della Regione Automa della Sardegna, devolverò, una volta eletto, il 5% dell’introito netto mensile accreditato in qualità di consigliere regionale, ad un fondo sociale costituito tramite atto notarile. Detto fondo sarà utilizzato per restituire la dignità a tutti i figli, mogli/mariti e compagne/compagni conviventi a qualsiasi titolo, dei caduti sul lavoro dentro questa terra e che, non hanno ottenuto nessuna pensione o vitalizio dagli Enti preposti, in quanto le vittime non erano regolarmente assicurate.

FIRMATARI
Giampaolo Cassitta, candidato Italia dei valori – circoscrizione di Sassari
Gianni Piredda, candidato Italia dei valori – circoscrizione di Sassari
Federico Gandolfi, candidato Italia dei valori – circoscrizione di Sassari.

Le adesioni (che devono giungere per iscritto, in quanto saranno considerate documento valido come impegno formale) saranno inviate a megliosoru@giampaolocassitta.it
Aspetto con molta tranquillità, convinto che dobbiamo scommettere sulle piccole cose. Come questa.
Oggi nessuno ha dato la sua adesione. Eppure molti dei 1020 candidati conoscono la proposta. Che sia troppo populista? Aspetto risposte decenti.

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– 21 GIORNI ALLE ELEZIONI.

– 21 giorni alle elezioni. – Il sito di Giampaolo Cassitta
la forma delle parole (e dell’acqua)
Rassegna stampa di sabato 24 gennaio 2009.
Colpisce, da subito, l’intervista effettuata dalla Nuova Sardegna di Filippo Peretti al vero candidato alla presidenza Silvio Berlusconi. E colpisce per un motivo fondamentale. Sono convinto, infatti, che l’uomo smentirà anche questa intervista e smentirà anche gli errori grossolani commessi dal meno noto Cappellacci che, in una nota sotto la stessa pagina, si permette di dare torto al suo padrone.
Riassumiamo.
Silvio Berlusconi chiacchiera amabilmente di tutto, dall’UDC alla denuclearizzazione dell’isola. Spiega, a modo suo, perchè il referendum, seppure non abbia raggiunto neppure il quorum, è stato vinto dal centrodestra (alchimie politiche di gente navigata) e alla domanda su quali siano le priorità specifiche della Sardegna per lo sviluppo e l’occupazione, testualmente risponde (e testualmente smentirà): “Il turismo e l’ambiente naturale che in Sardegna è tra i più belli al mondo, sono i due “asset” (ma come parla, direbbe Moretti….. e anche io….) sui quali si deve puntare. Il turismo, insieme al commercio, da lavoro al 67,8% degli occupati sardi e anche nell’ultimo anno – nonostante la crisi – ha creato 24 mila nuovi posti di lavoro.” Mi ha stupito in senso positivo perchè, ammetteva che -nonostante la crisi – nell’ultimo anno si erano creati 24 mila posti di lavoro. Che non sono pochi, a dire il vero e non so neppure se siano reali. Ma resta il fatto che Berlusconi (che il mio grande Word continua a ignorare e, se con il tasto destro chiedo un suggerimento propone queste possibilità: bellusco, Bertuccioni, Bruscolini e Beccofrusoni …. inarrivabile Word…) ammette che in un solo anno e, nonostante la crisi, questa piccola isola gialla e brulla di là dal mare ha saputo creare 24 mila posti di lavoro. Grazie Soru insomma.
E invece, che cosa combina quel povero Cappellacci? Dice che c’è qualcuno che racconta le bugie. Ecco il testo delle sue dichiarazioni, virgolettato, apparso sulla stessa pagine della Nuova Sardegna: “Non ci sono nuovi posti di lavoro, ma oltre 150 mila disoccupati, 22 in più rispetto al 2004. Le persone in difficoltà sono 100 mila in più”.
Potrei essere accusato di poca contestualizzazione delle interviste. Che non si mettono insieme queste cose, che la politica non è un blog (dovreste spiegarlo, per esempio a Vespa, Fede, Feltri e al direttore di Panorma e del Giornale che non si montano le interviste e che non si uniscono virgolettature). Non voglio però stabilire chi ha ragione, le interviste si concedono e quando si risponde si tenta di dare il meglio di se, delle proprie idee e si tenta – se sei un buon politico di razza – di abbattere l’avversario. Con il risultato grottesco che i due candidati alla presidenza dell’isola (Berlusconi e Cappellacci) riescono a contraddirsi. La morale è semplice ma non semplicistica. Ci possiamo fidare di questi signori che, pur di ottenere dei voti, riescono a dare letteralmente “i numeri?”

Questa la rassegna stampa di oggi dentro una giornata gonfia di libeccio e maestrale. Sono andato ad osservare le onde che sbattevano sulla muraglia di Alghero questo pomeriggio. Sono stato un attimo a sentire quel rumore sordo di un mare che era vivo, che urlava, che aveva la freschezza e la forza immensa di pensieri e ricordi e spruzzi e sale. Il mio mare. Sono ritornato, sempre per un attimo al ricordo dei miei diciannove anni quando, sempre davanti a quel mare, passeggiavo con tasche diverse e con diversi colori ma con la faccia forte che non mi avrebbe mai abbandonato. Era di marzo, nel 1978, durante il sequestro Moro. Avevo deciso di attraversarlo quel mare, per andare al nord, per trovare degli amici. Incontrai, sul ponte di una nave e nel mare in burrasca, facce contorte e vuote di donne e bambini che camminavano lenti. Erano diretti quasi tutti a Torino, dove i loro mariti lavoravano. Andavano a trovarli per Pasqua. Io ricordo ancora quelle facce incontenibili e quegli occhi minuti che osservavano sulla poppa la scia che si miscelava alle onde di una Sardegna che si allontanava. Io ricordo tutto di quel giorno e me lo sono portato appresso per sempre. Quando ammiro quel mare apparentemente cattivo, ritorno a quegli occhi di madre che non aveva parole. E mi dico, con fermezza antica e fiera: noi non possiamo partire e ripartire. Questa terra è la nostra terra. Da sempre e per sempre. Senza possibilità alcuna di smentita.
Mi direte: che connubio ci può essere tra quelle interviste/dichiarazioni di Berluscacci e il mio immenso mare? Entrambi producono molto rumore, ma non riescono a lasciare impronte durature. L’acqua, come ci insegna Camilleri non ha forma. Un po’ come le parole che ho letto stamattina.
Con una piccola differenza: guardare il mare regala un’accorata ed intensa libertà.

RIASSUNTINO DELLA MIA PROPOSTA EFFETTUATA A TUTTI I CANDIDATI AL CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA:

Io sottoscritto, candidato a consigliere della Regione Automa della Sardegna, devolverò, una volta eletto, il 5% dell’introito netto mensile accreditato in qualità di consigliere regionale, ad un fondo sociale costituito tramite atto notarile. Detto fondo sarà utilizzato per restituire la dignità a tutti i figli, mogli/mariti e compagne/compagni conviventi a qualsiasi titolo, dei caduti sul lavoro dentro questa terra e che, non hanno ottenuto nessuna pensione o vitalizio dagli Enti preposti, in quanto le vittime non erano regolarmente assicurate.

FIRMATARI
Giampaolo Cassitta, candidato Italia dei valori – circoscrizione di Sassari
Gianni Piredda, candidato Italia dei valori – circoscrizione di Sassari
Federico Gandolfi, candidato Italia dei valori – circoscrizione di Sassari.

Le adesioni (che devono giungere per iscritto, in quanto saranno considerate documento valido come impegno formale) saranno inviate a megliosoru@giampaolocassitta.it
Aspetto con molta tranquillità, convinto che dobbiamo scommettere sulle piccole cose. Come questa.
Anche oggi nessuno ha dato la sua adesione. Eppure molti dei 1020 candidati conoscono la proposta. Che sia troppo populista? Aspetto risposte decenti.

 

37 Responses

  1. UK Chat Rooms ha detto:

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  25. Gvk bio India news ha detto:

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