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Conclave

Conclave

In questi giorni, vedere Conclave sembra quasi inevitabile. Il film, diretto da Edward Berger e tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris, scrittore e giornalista inglese, arriva con una certa solennità, arricchito dalla presenza di noti attori italiani come Sergio Castellitto e Isabella Rossellini. La confezione è elegante, la regia solida, l’intreccio ben costruito. Eppure, qualcosa non funziona.

Seppur architettato con precisione, il film appare sorprendentemente banale, costruito su un colpo di scena finale (che non svelerò) prevedibile e privo di reale pathos. È come se Conclave cercasse un equilibrio tra thriller politico e dramma spirituale, finendo però per rimanere in superficie, senza mai davvero scavare nel mistero e nella complessità della Chiesa.

Il paragone con produzioni italiane sullo stesso tema viene naturale. Pensando a Habemus Papam di Nanni Moretti o a The Young Pope di Paolo Sorrentino, si avverte chiaramente quanto il cinema italiano, almeno su certe questioni, riesca a essere più profondo, più autentico, persino più audace. Conclave, invece, rischia di trasformarsi in un esercizio di stile: troppo manieristico, troppo lineare, talmente realistico da sfiorare a tratti il tono da documentario.

Sono partito con la curiosità di osservare lo sguardo di un autore straniero sul cuore del cattolicesimo, nel tentativo di allontanarmi per un attimo dalla prospettiva dei registi, scrittori e giornalisti italiani. Ma alla fine mi sono ritrovato a riconoscere, ancora una volta, quanto siamo capaci – noi – di raccontare il Vaticano con più coraggio e consapevolezza.

E se da oltreoceano ci arriva l’idea di un pontefice con le sembianze di Donald Trump, allora Sorrentino – con le sue visioni barocche e surreali – torna a sembrarci un gigante, e la sua serie forse una delle cose più affascinanti prodotte negli ultimi anni.