CI AIUTANO A CASA NOSTRA (A RIFLETTERE) – Editoriale apparso sulla nuova Sardegna del 21 agosto 2016
Bisogna stringere gli occhi sempre più forte per distinguere quel puntino che si chiama Ahmed. Tredici anni e un cuore pieno di speranza, occhi che osservano Lampedusa e il sogno di un bambino tra le tasche vuote.
Non è fuggito dalla guerra Ahmed, e neppure dalla paura. Non è fuggito per cercare i propri familiari, non è un minore non accompagnato come i molti che arrivano in questi giorni, anche in Sardegna. Non è neppure fuggito Ahmed. Ha solo deciso di sfidare la speranza e di ottenere qualcosa che dalle sue parti non è possibile: aiutare suo fratellino Farid, di sette anni, da tre colpito da una malattia del sangue, una forma di piastrinopenia, un malanno provocato da una riduzione nella produzione midollare di megacariociti.
Così scrivono i medici egiziani su quei fogli che Ahmed si porta appresso dentro uno sporco sacchetto di plastica. Forse Farid necessità di un intervento, probabilmente gli sarà asportata la milza. Ma il problema non è quello. Ci vogliono cinquantamila lire egiziane e la famiglia di Ahmed quei soldi non li ha perché sono contadini che guadagnano, al massimo tremila lire egiziane in un anno. Ci vorrebbero quasi vent’anni per racimolare quei soldi. E Farid non può aspettare. Ed ecco l’idea, apparentemente folle: far partire Ahmed per trovare in Sicilia, in Italia o comunque in Europa un ospedale e dei medici disposti a curare il suo fratellino.
Non ha grandi sogni Ahmed, solo quello di poter vedere Farid giocare a pallone con lui, senza portarsi dietro la paura che svenga perché non riesce a stare molto in piedi.
Il suo calvario è durato molti giorni, dove ha visto trafficanti e scafisti picchiare i suoi compagni di viaggio mentre lui, con il suo corpo esile, riusciva a nascondersi. Pochi sorsi d’acqua durante la traversata. Ma la sfida era più forte, incontenibile, enorme. Perché in quegli occhi senza sguardi c’era ancora il fermo immagine di un padre che si vede dimettere il figlio dall’ospedale. Perché non aveva soldi. Servivano trentamila lire egiziane, quasi quattromila euro e il doppio per la seconda operazione.
Solo le analisi costano circa cinquecento euro. In Egitto non ci sono i ticket a mitigare i costi per la salute. Sono cose alle quali nessuno pensa, da queste parti. Possono stare tutta la vita a raccogliere datteri, quelli che noi mangiamo per Natale ma non servirebbe a niente. Ahmed che scruta il vento e conta i datteri.
Guarda gli uomini della sua città che partono con le barche ed è un attimo: “Vado pure io” si è detto, “lavorerò in Europa, manderò i soldi, mio fratellino si cura e guarisce. Giocherà a pallone e potrà studiare e aiutare la mia sorellina di tre anni.” Questo ha raccontato Ahmed al mare, alle onde a alla speranza. Con quel foglio vergato di parole difficili. Non chiede un aiuto a prescindere Ahmed. Non vuole la semplice e scontata “pietà”. Non ne ha bisogno. Chiede di trovare un medico in grado di aiutarlo per operare Farid. Ma non gratuitamente. Troppo facile.
Lui vuole lavorare e pagare il debito.
A cosa serve questa storia?
A capire, per esempio, che ci sono persone alla ricerca di una speranza, gente nata nel posto sbagliato e che non si può permettere, purtroppo, la cura adeguata che dalle nostre parti esiste. Serve anche a comprendere che i flussi migratori non sono solo l’espressione di storie piatte e legate al puro assistenzialismo. Serve, soprattutto, per rispondere a chi continua ad urlare “aiutiamoli a casa loro”. Ahmed non vuole niente da noi. Non chiede la nostra pietà, il nostro senso umanitario. Chiede la possibilità di lavorare per permettere a Farid di essere operato e giocare, come una favola bellissima, a pallone, come tutti i nostri figli. Per invogliarci a crescere, Ahmed, di tredici anni, è venuto dall’Egitto e ci aiuta a riflettere proprio a casa nostra. Dovremmo cominciare a raccogliere queste storie. E guardarci dentro. Intensamente.
Questo articolo è stato scritto il lunedì, Agosto 22nd, 2016 at 15:19
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Tags: extracomunitari, inclusione, razzismo
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