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C come costituzione

C come costituzione

A come albero, b come balena, c come cane, d come dado o meglio: la e di elica, la f di farfalla, la g di giraffa e via dicendo. Quelli della mia generazione hanno imparato a leggere e scrivere con le immagini e con queste parole, compresa la q di quadro e la i di imbuto. 

Le parole. Chissà i padri costituenti quanto hanno dosato nello scegliere le parole giuste, in un crogiolo pieno zeppo di buoni sentimenti e di speranza. Quella carta con oltre cento articoli è stata soppesata, pensata, riflettuta, combattuta, limata, allargata, ristretta, cancellata, rivista, battuta e ribattuta e, infine, pubblicata.
La carta costituente di un popolo è come un atto di nascita: certifica l’esistenza in vita di quell’essere, ci dice che da quel momento in poi possiamo respirare, guardare al mondo, provare a camminare e usare le parole. 

La Costituzione è la trama di una grande storia, è l’inizio di tutti gli inizi, il prologo di una lunga narrazione. Noi, da piccoli conoscevamo l’albero, il cane, il dado e la farfalla: sapevamo distinguerli  ed indicarli con un dito ma non sapevamo scriverli, non conoscevamo le lettere che componevano le loro parole fino a quando a scuola, qualcuno attraverso i disegni ci ha fatto conoscere il segno, la lettera e ci ha aiutato a comporre la parola di albero, di fiore, di farfalla e di quadro. Siamo abituati a parlare ma non a riconoscere le parole in quanto non è la stessa cosa e fin dal primo articolo della nostra Costituzione ci sono parole immense, capaci di costruire trame infinite all’interno della stessa storia: quella di uno stato. 

Nell’articolo uno c’è la r di Repubblica, la l di lavoro, la p di popolo; nell’articolo 2 troviamo la d di diritti e di doveri, la s di solidarietà. Nell’articolo 3 c’è un’unione di parole e capiamo, fin da subito che unire significa fortificare e costruire quella trama dove tutti possiamo camminare. Così troviamo termini come dignità sociale senza distinzione di sesso, rimozione degli ostacoli, pieno sviluppo della persona umana. Solo nei primi tre articoli c’è la trama per poter scrivere una bellissima storia, concetti che fanno vibrare i polsi. Però, ad andare avanti e leggendo tutti i principi fondamentali, ci rendiamo conto che nella Costituzione italiana tutto era stato previsto e tutto era stato ben organizzato. Gli ingredienti c’erano tutti: ben orchestrati, ben ponderati e c’erano anche le istruzioni per utilizzare al meglio tutto. Però  – e qui ritornano le parole – a volte chi legge ha orizzonti diversi, pareri discordanti da un altro interlocutore e con gli stessi ingredienti si produrranno piatti diversi.
E’ la forza della storia che, come ricorda Alessandro Baricco,  non bisogna mai confondere con la trama perché quest’ultima è un viaggio lineare dentro una storia. Come una linea ferroviaria  che attraversa un continente, ci racconta solo un pezzo di vita, non tutta la vita. La costituzione è universale, significa che è di tutti ed è per tutti. Ce lo dice lei stessa e lo ripete più volte quando dice che tutti – e quindi, proprio tutti – i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E quando parla di sesso non contempla solo un uomo e una donna; anche quando parla dei diritti di famiglia (all’articolo 29) non dice marito e moglie o uomo e donna. Afferma soltanto che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. I padri costituenti probabilmente in quegli anni avevano, è vero, il concetto di rapporti tra uomini e donne, ma scrivere uomini e donne dentro una storia significava non contemplare altre possibilità, significava confondere la trama con la storia, significava chiudere gli orizzonti. D’altronde, sempre in tema di diritti, l’articolo 37 ci dice che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro,  le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Il grande narratore di questo bellissimo libro apre tantissime porte, infinite finestre e mette in fila parole certe, chiare, impossibili da non capire come la a di albero, la f di farfalla e la q di quadro.
Quando dalla storia si è deciso di scrivere la trama sono cominciati i problemi perché poi, nella realtà, ancora oggi i diritti non sono garantiti uguali per tutti, ancora oggi la donna lavoratrice non è retribuita al pari dell’uomo, ancora oggi ci sono discriminazioni etniche e sono utilizzati dei termini in senso dispregiativo: pensate a quando i titoli dei giornali parlano di ladro tunisino, rapinatore magrebino, scassinatore rom, faccendiere  o sequestratore sardo, quando l’etichettamento, vietato dalla carta costituzionale,  continua ad essere usato e abusato tutti i giorni. P
rendete la lettera elle, elle come lavoro. Vi è un articolo dedicato a questa parola, a questo concetto, a questa piccola poesia. Si parla, nell’articolo 4 di diritto al lavoro e, attenzione, non al dovere. Perché lavorare è un diritto, è felicità, è dignità, è realizzazione, è libertà, è democrazia.
Tutti concetti che trovate all’interno della costituzione.
E qui il grande narratore compie un’alchimia lessicale, un bellissimo gioco letterario dove le parole diventano altre e dove anche la lettera elle si fonde con altre: elle come lavoro, elle come dignità, elle come libertà, elle come felicità, elle come progresso, elle come società, elle come democrazia. Così la trama si allarga e prende in considerazione altre trame, come un groviglio di binari di un’immensa stazione con la possibilità che ci siano degli scambi utili a far camminare in maniera ordinata i treni. La costituzione è dunque un insieme infinito di binari dove i treni si incontrano ma non si scontrano, lo Stato riconosce le autonomie locali ma la Repubblica rimane una e indivisibile, lo Stato non mischia i credi religiosi e la chiesa Cattolica è, a sua volta, indipendente e sovrana. Elle come lavoro, come laicità, come libertà.
Pian piano quella elle di libro, di lampadina, di limone, diventa qualcos’altro, diventa materia che ci trasporta all’interno di una storia più grande: c’e dentro la cultura, la ricerca scientifica e tecnica, c’è l’amore per l’ambiente e sono state aggiunte  nell’articolo 9 due nuove e bellissime parole: biodiversità e degli ecosistemi. E come elica, come ecologia, come    voglia di salvare il nostro pianeta. 

La gi di gatto è una lettera complessa, è la ricerca dell’equità, dell’equidistanza, del saper soppesare in maniera oggettiva  tutte le situazioni ed ecco che la gi di gatto diventa gi di giustizia, quella giustizia che non può non essere regolata anche dalle norme di diritto internazionale, quella giustizia che non può contemplare la barbarie, quella giustizia estesa a tutti, stranieri compresi. L’articolo 10 ci ricorda che per il nostro paese non esistono gli stranieri intesi come estranei, ma esistono uomini portatori di diritti e di inclusione. Chi è perseguitato troverà nella nostra terra la giusta accoglienza. L’articolo 13 ci ricorda che la libertà personale è inviolabile e dunque è sacra, così come il proprio domicilio, la propria vita privata, il proprio forziere dei ricordi. Fanno parte della storia ma a nessuno è dato raccontarlo se non vi è l’assenso della persona. 

Fatemi dire qualcosa, per ultimo, dell’articolo 27 della Costituzione quello più difficile, quello più complesso, quello più alto, dove le parole hanno davvero un grande peso. Quell’articolo è il binario più contorto eppure anche lui, dovrà arrivare alla stazione incrociando gli altri treni. Quell’articolo è la purezza assoluta quando stabilisce un punto fondamentale: l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Queste parole di una leggerezza pressante stabiliscono un punto di non ritorno: la definitività delle cose. Non possiamo giudicare un film se prima non lo abbiamo visto tutto. Dire che la storia è pessima alla fine del primo tempo non renderebbe giustizia all’opera da vedere in tutta la sua interezza. Giudicare quando tutto si è compiuto e quel giudizio, seppure definitivo non può essere tombale. Ed ecco la seconda parte dell’articolo 27, quelle frasi da me stampate a memoria per quasi 40 anni di lavoro nelle carceri italiane: Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. 

E’ una trama bellissima, fortissima, state attenti: devono tendere e non possono tendere alla rieducazione. Vedete come sono importanti le parole e il loro dosaggio. In questa frase c’è la bellezza dell’uomo: la disponibilità all’ascolto di chi ha sbagliato, la possibilità di rimettere in gioco colui che si è macchiato di un delitto, il poter costruire, insieme, un percorso diverso, seppur tortuoso, seppure controverso e con molta riluttanza da parte di molti. 

Concludo con un piccolo gioco imparato alle scuole elementari. Provate ad immaginare un muro con tanti piccoli quadretti colorati e al posto del disegno dell’imbuto, della farfalla, della giraffa, troviamo nuove parole che ci portano ad amare la nostra costituzione: 

A come accoglienza 

B come bellezza

C come cittadinanza

D come dignità, democrazia, 

E come equità

F come  fermezza

G come giustizia, garanzia

I come  incolumità

L come lavoro, libertà, laicità,

M come merito 

N come nazione 

O come opportunità 

P come parità, pace, pensiero

Q come  qualità

R come rapporti

S come salute

T come tutela, territorio, 

U come unità 

V come valori 

Z come zattera di salvataggio. 

La costituzione è un libro di parole che ci insegnano ad essere migliori. I bambini queste cose le sanno. E le vogliono imparare. Dobbiamo fare questo grande sforzo per gli uomini di domani. E’ una missione costituzionale. 

10:36 , 23 Settembre 2022 Commenti disabilitati su C come costituzione