Con Domenico Arena, attuale Provveditore regionale alle carceri sarde, ho collaborato quando entrambi eravamo impegnati nel Dipartimento di Giustizia Minorile e lo conosco personalmente: la sua passione, il rigore e la visione trattamentista per tutto ciò che concerne il pianeta carcere non sono mai retorica, ma esperienza quotidiana e responsabilità concreta. Mi ha meravigliato l’intervista comparsa oggi sull’Unione Sarda, per il coraggio intellettuale con cui Arena ha precisato passaggi che la stampa mainstream spesso ingarbuglia.
Intanto, il Dr. Arena ha chiarito un fatto fondamentale: come Provveditore regionale non può entrare nelle decisioni relative al movimento dei detenuti ad alta sicurezza. Sono scelte del Dipartimento nazionale, che decide scenari e movimenti senza obbligo di informativa. Ma Arena aggiunge qualcosa che ho scritto da mesi: non è possibile, né pensabile, che il destino di tutte le carceri sarde sia quello di accogliere esclusivamente detenuti ad alta sicurezza o sottoposti all’articolo 41 bis. Secondo il Provveditore, l’ipotesi più fondata per la destinazione di questi detenuti resta Uta, dove è in corso da dieci anni un progetto per la realizzazione di un reparto di massima sicurezza, progetto ormai a buon punto, come Arena ricorda perfettamente.
L’intervista prosegue su altri binari, soprattutto sul disegno regionale dei penitenziari in Sardegna. Domenico Arena sottolinea che il Provveditorato isolano da anni lavora in direzione opposta all’alta sicurezza: verso un modello di carcere che, nel livello della media sicurezza, si propone come apertura alle comunità, anzi, sottolinea Arena, come risorsa. Questo è il punto da cui partire.
A Uta saranno presenti i 92 detenuti sottoposti al regime di cui all’articolo 41 bis. È un progetto antico, deciso fin dalla realizzazione del nuovo carcere. Il padiglione, fermo per problemi della ditta appaltatrice, è ormai in via di consegna al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Chi ha paventato dieci istituti sardi tutti destinati alla massima sicurezza ha detto cose inesatte, ignorando che, per legge, vicino ai tribunali servono case circondariali che accolgono soprattutto detenuti in attesa di giudizio, come ho spesso ricordato.
Domenico Arena è Provveditore regionale da un anno. Da sardo acquisito come ama definirsi – ha studiato all’Università di Sassari – ha scommesso sulla fase di apertura degli istituti penitenziari e sul rilancio delle colonie, un progetto che mi sta a cuore da tempo. Negli anni passati era stato possibile anche valorizzare i prodotti delle colonie con il marchio Galeghiotto.
Ora è il momento di sedersi intorno a un tavolo, seriamente, partendo da alcune certezze: i 92 detenuti a Uta sono ormai una scelta decisa dal Dipartimento; la Sardegna e i sardi – garanti, giunta, comuni – devono partire dalle parole del Dr. Arena, occuparsi del polo universitario presente in molti istituti penitenziari, scommettere sul rilancio delle colonie e, soprattutto, investire in percorsi riabilitativi per i detenuti comuni. Se così non fosse, tanto varrebbe destinare le carceri solo ai detenuti ad alta sicurezza, perché con gli altri non sapremmo offrire opportunità reali.
