Ciò che colpisce nel racconto dell’arrivo dei detenuti sottoposti al regime del 41 bis in Sardegna è l’assenza di fatti oggettivi nelle dichiarazioni e nelle prese di posizione di chi ha scelto di occuparsene. Un tutti contro tutti in cui manca una verità elementare: trasformare gli istituti penitenziari sardi in strutture esclusivamente destinate a questa tipologia di detenuti è giuridicamente e materialmente impraticabile.
Nell’isola esistono dieci istituti penitenziari. Le case circondariali, cioè quelle destinate ad accogliere le persone arrestate e a disposizione dell’autorità giudiziaria, sono soltanto tre: Sassari, Nuoro e Cagliari, con una piccola sezione a Oristano. Lanusei, pur essendo formalmente una casa circondariale, è destinata a detenuti per reati sessuali. Alghero, Oristano e Tempio Pausania sono case di reclusione; Isili, Is Arenas e Mamone colonie penali. Ne discende un dato incontrovertibile: i detenuti arrestati possono essere ristretti solo a Sassari, Nuoro e Cagliari.
Pensare di trasformare questi istituti in carceri riservate esclusivamente a detenuti sottoposti al 41 bis significherebbe creare un vuoto giuridico e operativo. Se una simile scelta fosse adottata, le persone arrestate in Sardegna non avrebbero alcun luogo in cui essere custodite. A ciò si aggiunge un ulteriore profilo critico: i tribunali competenti sono quelli di Sassari, Cagliari e Nuoro, con Lanusei e Tempio in misura minore. La gestione delle udienze richiederebbe trasferimenti continui e complessi, da strutture che, di fatto, non esisterebbero più per quella funzione. Un dispendio enorme di uomini e mezzi, con un inevitabile sacrificio proprio di quella sicurezza che viene evocata come argomento decisivo.
L’idea di istituti sardi integralmente dedicati al 41 bis è dunque impraticabile. Il ragionamento governativo, tuttavia, sembra muovere da un altro presupposto: l’impossibilità di mantenere all’interno dei singoli istituti trattamenti penitenziari differenziati. Da qui una soluzione che appare insieme semplice e semplicistica, presentata come una sorta di rivoluzione copernicana: carceri esclusivamente a regime 41 bis.
Ho vissuto direttamente l’avvio di questa stagione nel 1992, con l’istituzione del regime speciale all’Asinara, nella diramazione Fornelli. Allora si trattava, nei fatti, di un carcere di massima sicurezza isolato, privo di detenuti comuni e di qualsiasi possibilità di contatto con altre realtà detentive. Da quel periodo e quelle scelte sono trascorsi molti anni. A Sassari e Cagliari sono state realizzate sezioni dedicate ai detenuti sottoposti al 41 bis, nettamente separate da quelle ordinarie, con barriere strutturali e organizzative che rendono impensabile ogni forma di commistione.
In quelle sezioni opera personale altamente specializzato della polizia penitenziaria, i reparti del GOM, la cui preparazione professionale garantisce sicurezza e rispetto rigoroso delle regole. È un elemento decisivo, spesso taciuto nel dibattito pubblico, che dimostra come il sistema sia già in grado di gestire questo regime senza stravolgimenti avventati.
La difficoltà del governo nasce dall’assenza di una politica penitenziaria coerente. Si procede per soluzioni immediate, dettate dall’urgenza e dalla propaganda, senza misurarne la sostenibilità giuridica e organizzativa. Trasformare una casa circondariale in casa di reclusione richiede un decreto; riconvertirla in struttura idonea al 41 bis implica investimenti ingenti: celle singole, sale per le videoconferenze, matricole dedicate, reparti sanitari interni. Il trasferimento di un detenuto all’esterno, verso un ospedale, comporta procedure complesse e costi elevatissimi, al punto da rendere necessaria la creazione di reparti ospedalieri dedicati almeno a Sassari e Nuoro.
Resta poi irrisolto il nodo principale: dove collocare gli arrestati, oltre mille ogni anno in Sardegna, molti dei quali attendono in carcere le decisioni dei tribunali. L’ipotesi di una nuova casa circondariale richiederebbe tempi lunghi e scelte strutturali profonde. Se questo è il disegno, il percorso è non solo accidentato, ma profondamente sbagliato.
Una politica penitenziaria degna di questo nome dovrebbe mettere al centro la persona detenuta e le sue problematiche, non l’annientamento simbolico di un territorio. Trasformare la Sardegna in una sorta di colonia d’oltreoceano, destinata a contenere detenuti ritenuti pericolosi, è l’esatto opposto di una visione moderna e costituzionalmente orientata.
Da tempo sostengo che sarebbe necessario riaprire una discussione seria sull’articolo 41 bis, in particolare laddove prevede la dislocazione preferenziale dei detenuti nelle isole, e ripensare l’intero sistema penitenziario italiano in modo organico. Servono scelte coraggiose, meditate, programmatiche. Scelte che questo governo, giorno dopo giorno, dimostra di non saper assumere, continuando a muoversi in una direzione sbagliata e contraria.
