
Il corpo resiste all’ergastolo.
Cammina nelle vene sottili delle celle e dei silenzi, nelle arterie delle giornate e delle ore, a volte inutili, lunghe, infinite. Il corpo resiste tra gli acciacchi, la pelle che muta, le ossa che invecchiano, gli occhi che si stancano.
Il problema è l’anima. O, per dirla con Dawn Brown, “la coscienza”, che potrebbe anche essere volatile e passeggiare fuori dal corpo. Filippo Turetta è stato condannato all’ergastolo per aver ucciso e poi nascosto il corpo di Giulia Cecchettin.
Conosciamo la storia, conosciamo i dettagli, sappiamo quasi tutto di ciò che accadde l’11 novembre 2023. Una storia orribile, incredibile, che ha ferito un Paese intero.
Turetta ha rinunciato al processo d’appello. “Voglio pagare”, ha scritto in una lettera. Ha scelto il silenzio, ha scelto di restare dove il dolore lo inchioda. Il corpo reggerà, forse. Il problema è, semmai, la coscienza.
Un ergastolano mi raccontò un giorno di non avere paura di morire in carcere e, in generale, di non avere paura di morire. Aveva paura, piuttosto, di sopravvivere all’atto che aveva compiuto. Si vergognava dell’omicidio e riteneva la pena giusta, calibrata sul male che aveva procurato. Non ottenne mai alcun beneficio e, dopo anni, seppi che era morto in un carcere della Toscana.
Il corpo aveva retto, sino a un certo punto. L’anima, chissà.
Sono storie difficili da raccontare, come difficile è il percorso intrapreso oggi da Filippo Turetta.
Non chiede perdono, non è ancora il tempo.
Forse chiede di essere compreso. Mette in gioco il proprio corpo, lo immola a una causa che ritiene giusta: l’espiazione. E di lato, quasi in silenzio, comincia a fare i conti con la coscienza.
Una battaglia più dura, più lunga, più terribile delle giornate, delle ore, dei minuti trascorsi in una cella. Ci sarà tempo, forse, per riconquistare il proprio corpo. E quel tempo arriverà solo quando l’anima avrà davvero fatto i conti con la realtà. Solo allora Filippo Turetta potrà cominciare a rivedere la propria vita, partire dalla sua sconfitta, usare il corpo per espiare insieme alla coscienza. Non pensate, vi prego, che Giulia possa tornare. Non dite – vi prego – che Giulia meritava di vivere e lui di morire. Non è così che si risolvono queste storie.
Giulia meritava tutto il bene del mondo, questo è ovvio.
Ma detto questo, osservate il corpo di Turetta e sperate che un giorno si riunisca all’orrore che ha generato. Non per perdonare, ma per capire. Per comprendere. Quella frase – voglio pagare – suona come una liberazione, e dice una grande verità: che esiste un debito con l’universo.
E che quel debito merita il corpo e l’anima. Merita tutto il dolore del carcere, ma anche – e forse soprattutto – la nostra comprensione.
Bisogna saper riconoscere i sussurri degli assassini per navigare in questa vita piena di curve.
Bisogna riconoscerli e ascoltarli. È il tempo a disegnare il futuro e il passato degli uomini.
Lasciate che i corpi incontrino le anime, e che comprendano – almeno una volta – la complessità del male.
Diamogli, almeno, questa possibilità.
Questo articolo è stato scritto il mercoledì, Ottobre 15th, 2025 at 12:10
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Tags: giustizia
Posted in: Blog, le ragioni di Caino