Puoi vincere o perdere. Però te la devi giocare. Questo è lo sport: cinico, duro, a volte terribile, ma un po’ come la vita.
Le lacrime delle brasiliane ieri e quelle delle turche oggi, in due partite diverse ma simili nello svolgimento, ci ricordano che non basta essere le più forti: occorre anche saper attendere, resistere, non mollare.
“Perdere fa male”, dicono tutti. Ed è vero. “Perdere fa ripartire”: anche questo, a volte, è vero. “È bello partecipare”: sì, ma fino a un certo punto. Perché si gioca per giocarsela, ma anche per vincerla.
La pallavolo insegna a combattere senza neppure sfiorare l’avversario. Non è calcio, non è basket. Somiglia al tennis, ma con una differenza fondamentale: a tennis sei solo, e i pensieri corrono troppo veloci o troppo lenti. Nella pallavolo, invece, il gruppo ti sostiene: sei parte di una comunità che condivide gioie e dolori.
Le brasiliane e le turche sono cadute nella stessa trappola: troppa forza, troppa foga. Le italiane, invece, hanno saputo trovare i momenti giusti e i punti che pesano davvero. Quelli che fanno la differenza.
Un po’ come nella vita: devi esserci sempre, ma devi anche capire qual è l’attimo giusto. Cercarlo con pazienza, saperlo cogliere, accettare di ripartire. Sapendo che, comunque vada, c’è sempre qualcuno al tuo fianco.
La vittoria della squadra è la molteplicità dei numeri primi: individualità uniche che, insieme, diventano un tutt’uno. Tutti vincono, tutti regalano lacrime di felicità.
Quando si perde, invece, è un po’ come quando si muore: si è sempre soli, anche se un attimo prima eri dentro il gruppo.
Puoi vincere o perdere. Però devi viverla. Sempre.
