
Mi chiedo spesso perché faccio parte della categoria universale degli uomini, e perché ogni giorno ci siano episodi che mi spingono a vergognarmi. L’ultimo è accaduto a Roma, all’interno di un centro commerciale: un ragazzo è stato aggredito da tre individui – due dei quali, pare, addetti alla sicurezza – semplicemente perché è omosessuale. Lo hanno afferrato per il collo. Il ragazzo ha cercato di divincolarsi. Alcune persone sono intervenute in suo aiuto. E uno degli aggressori ha urlato: “Portiamolo nello stanzino senza telecamere”. Ecco, questo è il punto di non ritorno. La cattiveria gratuita. La vigliaccheria. L’istinto di sopraffazione. Il bisogno di esercitare potere nel buio, dove nessuno guarda. Il segno distintivo di chi non merita di camminare accanto agli altri. Per fortuna, il ragazzo è riuscito a chiamare il 112 col cellulare. È stato soccorso in tempo. Non sono riusciti a portarlo nello “stanzino senza telecamere”, l’anfiteatro oscuro della sopraffazione. Non mi chiedo più il perché. Le risposte non arrivano più. Quando scrivevo Aria Mossa e leggevo le testimonianze dei detenuti picchiati, mi ripetevo: “È roba del passato”. Sapevo che non era vero. E non è vero. Non si può andare avanti così. Non è solo una questione di umanità o dignità. È che non riusciamo a far comprendere una verità semplice: tutti hanno diritto di vivere e farlo con dignità. Quei tre aggressori, per esempio, dovrebbero fare qualche anno di carcere. In modo dignitoso. Senza che nessuno li tocchi. Perché, sì: in carcere c’è spesso gente migliore di quella che incontriamo ogni giorno là fuori.
Questo articolo è stato scritto il mercoledì, Luglio 23rd, 2025 at 07:51
È possibile seguire tutte le risposte a questo articolo tramite il RSS 2.0 feed.
Tags: formazione, parità, razzismo
Posted in: Blog