Non ci voleva un grande stratega per capire che il centrosinistra avrebbe vinto in Toscana. O, come lo chiamano adesso, “campo largo”, “campo aperto”, “campo volo”. Fate voi. Allo stesso modo, era prevedibile che la stessa coalizione perdesse in Calabria e nelle Marche.
Non è una vittoria, diciamolo. È solo la conferma che – nelle amministrative – i voti si spostano poco e che a contare davvero è ancora la rete del territorio. Quella che il vecchio Partito Comunista, in Toscana, aveva tessuto con pazienza, porta per porta, e che continua a tenere in piedi il sistema.
Il punto vero, però, non è chi ha vinto. È chi non ha votato.
Quasi metà degli elettori. Quelli che non credono più a nessuno, che non si riconoscono in nessuno. Che non sopportano più i politici che parlano per slogan, che ti spiegano cosa fare domani ma non hanno idea di dove saremo tra un anno. O anche solo tra un mese.
E allora eccoli, i soliti siparietti: “Abbiamo vinto perché uniti si vince”, “la gente ha creduto nel nostro progetto”. Li ascolti e ti chiedi come facciano a dirlo senza ridere. In Toscana, come in Calabria, ha votato meno della metà. E chi ha vinto rappresenta appena una frazione di quella minoranza. È democrazia, certo. Ma è anche una sconfitta enorme, che nessuno vuole guardare in faccia. Perché nessuno si chiede più perché.
Perché la gente non vota. Perché non si informa, non legge, non discute. Perché non sogna nemmeno un futuro. E, paradossalmente, finisce per somigliare ai politici che disprezza: immobili, rassegnati, incapaci di disegnare la realtà. Non riescono a farlo neppure unendo i puntini.
E poi c’è chi propone la cittadinanza onoraria di Firenze per Oriana Fallaci. Fiorentina dalla nascita.
Cosa vuoi pretendere da uno così? Niente.
Assolutamente niente.
Il bisogno di dire qualcosa ogni giorno, anche quando non si ha niente da dire, è diventato un mestiere. E in quello sono tutti bravissimi. Professionisti affermati.
Vincono. Apparentemente.
