Perdere ci fa crescere.
Sarà che ho passato quasi quarant’anni della mia vita con dei perdenti ma, davvero, in carcere questo piccolo aforisma non funziona. Da quelle parti perdere aiuta a perdere e alimenta la depressione.
Nello sport, però, credo possa funzionare. E, in qualche maniera, deve funzionare. Ho visto lo sguardo spento di Sinner: era identico a quello delle ragazze turche che, come lui, si dovevano accontentare di un secondo posto. Ricordo che un detenuto un giorno mi disse: “Dottò, io non riesco neppure a qualificarmi nel campionato della vita”.
Perdere fa male. È inutile girarci attorno. Soprattutto per chi gioca e per chi mette sul tavolo la passione. È vero, però, che dobbiamo imparare a perdere, ad accettare le sconfitte anche quando ci sembrano ingiuste o dettate da una serie di casualità che hanno portato il nostro avversario alla vittoria.
Le sconfitte si rispettano. Tutte. Anche quel 7 a 1 inflitto dalla Germania al Brasile nella semifinale del Mondiale 2014. Anche il 5 a 0 del Paris Saint-Germain all’Inter nell’ultima finale di Champions. Come la sconfitta di Sinner a Roma o quella di Alcaraz a Wimbledon.
Perdere fa male, forse aiuta a crescere, ma da quelle sconfitte dobbiamo comunque ripartire.
All’Asinara ci fu un detenuto che, durante il campionato di calcio, era il più leale, il meno falloso, il più bravo a rispettare le regole. Pensammo di premiarlo con la coppa disciplina. Lo venne a sapere prima che fosse decretato il verdetto e mi disse, con una voce da disilluso: “È meglio che non la vinco questa coppa, che in carcere porta male”. Ne parlammo per giorni e alla fine lo convinsi ad accettarla. Uscì dopo qualche anno e sistemò quella coppa tra i suoi bagagli.
Si può partire da poco, si può partire con poco. Perdere aiuta a capire il mondo.
