
Non sono esperto di sanità, ma ho sempre capito che nelle nomine apicali il merito c’entra poco, anche quando a scegliere è la parte politica per cui hai votato.
Nella mia carriera ho ricevuto incarichi solo dopo aver vinto un concorso: non sarà il sistema più perfetto, ma almeno garantisce un minimo di equità rispetto alle nomine “politiche”.
Il caso dei commissari di Asl e aziende sanitarie in Sardegna ha fatto discutere. Si parla di una frattura (ma davvero?) nella maggioranza, con il Partito Democratico che ha disertato la riunione di giunta dove, tra sorprese e aggiustamenti dell’ultima ora, l’elenco è stato approvato.
In sostanza — almeno secondo la narrazione ufficiale — l’operazione è stata spinta dalla presidente Todde e dal gruppo Cinque Stelle, mentre gli altri avrebbero voluto dire la loro. O, magari, scegliere altri nomi.
La democrazia è un mestiere difficile; in mano ai politici, sembra ridursi al vecchio gioco del “trovare l’uomo giusto al posto giusto” — giusto per loro.
Intanto, su dodici nomine, una sola è donna. Sarà un caso, certo. Ma resta un fatto.
Gli eletti, sulla carta, hanno i requisiti per fare bene.
Ma — si obietterà — anche quelli (e quelle) proposti dal PD erano probabilmente validi.
Sicuramente sì, rispondo da vecchio burocrate e pessimo politico.
Ma se davvero si voleva puntare sul merito, non sarebbe stato più semplice bandire un concorso pubblico e trasparente?
Lo so, sono un ingenuo.
In tutto questo parlare di sanità, ci si è dimenticati di un dettaglio da nulla: i pazienti.
E, si sa, la pazienza prima o poi finisce.