
Il bambino ha il pallone sotto il braccio e la maglia del Barcellona. Occhi minuti e determinazione nel dribbling. Ha imparato da subito a destreggiarsi in questa vita fatta di sibili, di fughe improvvise, di atrocità che non conoscono tregua. Non ha mai giocato in un campo da calcio. Di quelli veri. Di quelli con l’erba e le porte con la rete. Li ha visti solo in televisione, quando ancora arrivava il segnale, quando il silenzio non era ancora interrotto dalle sirene e dai boati.
Il bambino non conosce la differenza tra un sorriso e un abbraccio, ma sa essere veloce quando sente, da lontano, il rumore degli aerei, quelli che portano morte e squarciano i corpi. Poi, quando tutto tace, quel bambino riporta gli occhi verso un orizzonte che non esiste più, sepolto sotto le macerie e la polvere che si deposita anche sulla sua infanzia. Voleva solo giocare a pallone in un campo colorato di verde, voleva solo correre per il gusto di sudare nella maglietta numero dieci che adesso è madida di terrore.
Il bambino ha il pallone sotto il braccio e guarda il mondo. Non ha molte domande da fare agli adulti, quelli con le idee chiare, quelli che disegnano il futuro con mappe e strategie. Ha visto i suoi amici cadere e non rialzarsi. Ha capito che quello non era un gioco. Ha compreso la cattiveria dei grandi, l’inutilità del futuro, la miseria dell’odio. Ha cercato risposte in quell’odore acre di ferro e miseria e ha compreso che esistono “gli altri”, quelli che decidono da lontano, al sicuro.
Voleva solo giocare a pallone, quel bambino seduto davanti alla strage, davanti alle macerie del suo quartiere, davanti alla stupidità della guerra. I grandi riescono sempre a disintegrare i sogni appena cominciati. Lui voleva solo giocare a pallone, con il numero dieci di Messi sulle spalle. Voleva solo dribblare i suoi compagni in un campo di polvere e silenzio.
Adesso è fermo. Guarda il cielo. Guarda il nulla. È lì a guardare il risultato finale che hanno deciso i grandi. Non è una vittoria e non è neppure una sconfitta. È la disfatta delle coscienze. Nessuno si ferma a dire basta, nessuno gli consegna la palla, nessuno lo guida in un campo più verde.
Nessuno ha il coraggio di vergognarsi dentro questa guerra atroce, cattiva, inutile. Dicono che sono cose da grandi, difficili da capire.
Spiegatelo, per favore, a quel bambino che ha visto morire i suoi compagni. Spiegategli che sono giochi da grandi e che può ricominciare a giocare. Spiegateglielo, se ne avete il coraggio. Spiegateglielo, se avete la forza intellettuale per farlo.
Spiegategli che questa è una guerra per la sicurezza, per la pace, per l’ordine. Spiegate a quegli occhi senza più nessun orizzonte che siete dalla parte giusta.
Provateci, se ci riuscite.