
Nel 1970 avevo solo 9 anni e la finale della Coppa del Mondo la compresi fino a un certo punto. Perdere col Brasile ci stava, ma la colpa – almeno secondo me – era tutta dei tedeschi, e di quei benedetti supplementari che resero quella partita leggendaria.Per tutti, resterà sempre Italiagermaniaquattroatre.Nel 1982, invece, nei miei 23 anni, ero totalmente immerso nel Mondiale spagnolo, covando però una certa malinconia. Le prime partite non erano andate granché bene, e a stento ci eravamo qualificati. Dopo l’Argentina – che battemmo mirabilmente – toccava al Brasile.E con loro, per passare il turno, dovevamo solo vincere.È inutile. Sono condannato alla sindrome brasilera, pensai. Tutto ritorna: dopo argentini e tedeschi, ecco i brasiliani. Che, a dirla tutta, come giocatori li apprezzavo.Chissà perché, in Italia, una partita di calcio diventa sempre un melodramma da vivere con disperazione e gioia fuse insieme.Scoppiò Pablito: tre gol ai brasiliani. Un quarto, di Antognoni, fu annullato per un molto presunto fuorigioco. Per loro segnarono Falcao e Sócrates.Il Corriere dello Sport titolò il giorno dopo: “Il Brasile siamo noi”.Poi riuscimmo a vincere quel Mondiale, meritatamente.Era il 5 luglio 1982. Il Presidente della Repubblica era Sandro Pertini.Da qualche giorno, a Roma, è possibile visitare la sua casa, con i suoi ricordi.Ecco: vicino a Pablito, al presidente partigiano, a quel Brasile che battemmo ci metto anche i miei 23 anni. Che erano belli, erano scemi, ed erano pieni di sole.