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Ipocrisia

Ipocrisia

Papa Francesco era il capo della Chiesa cattolica e, come afferma giustamente Marco Travaglio nel suo editoriale di oggi, nessun capo di governo è tenuto a obbedirgli. C’è però qualcosa che, da guida spirituale della Chiesa, Jorge Mario Bergoglio ha fatto come uno dei primi gesti simbolici del suo pontificato: nel marzo del 2013 decise di celebrare la messa del Giovedì Santo nel carcere minorile romano di Casal del Marmo.

Un gesto radicale, rivoluzionario, che indicava subito una strada difficile da percorrere: la capacità di ascoltare la disperazione. Aveva un conto aperto con la giustizia, con le ingiustizie, e con il peso della punizione. Nell’estate dello stesso anno, da Pontefice abolì la pena dell’ergastolo nel diritto canonico. Fu una scelta dirompente, ma perfettamente coerente con il cammino che aveva deciso di intraprendere: saper ascoltare gli altri, mettersi sulla lunghezza d’onda di Caino e provare a comprenderne le ragioni.

In un’epoca in cui tutti si barricano dietro i muri e cercano rifugio nei propri confini, il messaggio di Francesco risuona come qualcosa di inenarrabile, di inaudito. Eppure nessuno sembra volerlo raccogliere. Gli stessi che oggi si prostrano davanti al suo simulacro, che rilasciano dichiarazioni solenni, avvolgenti e perfino commosse, sono i primi a ignorare sistematicamente le sue parole e i suoi gesti. Gli stessi che affermavano, quando Francesco era in vita, che il loro papa era Benedetto. Gli stessi che con sana ipocrisia gli tributano cinque giorni di lutto nazionale. Ad un capo di stato estero che non hanno mai ascoltato davvero.