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Il mar rosso.

Il mar rosso.

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Il mare è ritornato rosso. Rosso vergogna, rosso terrore, rosso impotenza.
Almeno quaranta persone sono morte nel naufragio di un’imbarcazione al largo di Salakta, in Tunisia, nel governatorato di Mahdia, nel sud-est del Paese. Tra le vittime ci sarebbero anche dei neonati.
Altro sangue a pasticciare le onde, a infrangere gli scogli. Sangue che resta, si rapprende, ma continua a camminare nelle viscere delle nostre coscienze che, come sempre, fanno finta di non vedere.

Ho letto, da qualche parte, che c’è una grande discussione sul Natale.
C’è una chat di mamme premurose che scrivono, inviano vocali (mai una consonante), emoticon sui regali utili da acquistare per i figli, perché mancano solo 64 giorni al giorno più importante per il mondo cristiano.

Non c’è posto per i migranti africani, per quelle persone, per quei bambini che non sanno neppure cosa sia un regalo.
Abbiamo onde dipinte di rosso e lo sappiamo.

Lo diceva Papa Francesco: il Mediterraneo è un cimitero enorme, una vergogna indicibile.
Non abbiamo tempo per le persone in fuga, disperate, sfruttate, che hanno trovato la morte nell’anno del Giubileo della Speranza.

Perché, se le parole hanno un peso, se i gesti hanno una potenza, spiegatemi perché ci incamminiamo verso la Porta Santa, perché stringiamo un rosario, perché adoriamo una croce dove è finito un giovane palestinese (per dire), perché contiamo i giorni che mancano ai regali di Natale e non abbiamo il tempo di provare a capire come si possa intervenire davanti a questa strage quotidiana, davanti a questo scempio, davanti a un mare che non è azzurro.

Noi, zitti.
Qualche “mi piace”, qualche piccola preghiera, qualche parola contro i muri e le barriere che bloccano gli aiuti umanitari ma non facciamo nulla per questi profughi, per questi assetati di speranza. Ultimi tra gli ultimi.

E non ditemi che sono beati, perché molti di loro, magari, finiscono nei nostri centri d’accoglienza in Albania. Questa è la nostra unica risposta.

Però mancano 64 giorni a Natale.