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Io mi ricordo solo Laura Antonelli. Era il 1972 e avevo un problema: i miei tredici anni non mi permettevano di entrare a vedere Trappola per un lupo, con Laura Antonelli e Jean-Paul Belmondo.
La storia non la compresi molto, ma mi rimase impressa — come ricordava De André in una sua mirabile canzone — “quelle cosce color madreperla, per Dio sì, le ricordo”.

Ci ho ripensato proprio oggi, a quattro anni dalla scomparsa dell’attore francese (6 settembre 2021) e a dieci da quella di Laura Antonelli (22 giugno 2015). Belmondo — o Belmondò, come lo chiamavano i francesi — non è stato un attore che ho seguito assiduamente, ma lo lego sempre a quel film stranissimo, dove oltre alle cosce di Laura c’era anche qualche scena in cui appariva quasi nuda. E quel quasi faceva la differenza tra un divieto ai minori di quattordici o di diciotto anni.

Nei miei tredici anni facevo calcoli incredibili, soprattutto per riuscire a varcare la soglia del cinema Miramare. Andò così: eravamo due tredicenni e un sedicenne spilungone. Decidemmo di mandare lui in avanscoperta. Sapevamo che la maschera avrebbe squadrato i nostri biglietti “SIAE” con occhio severo, mentre con la cassiera non c’erano problemi: lo spilungone acquistò i tre biglietti senza difficoltà. Lui davanti, noi dietro, con gli occhi bassi, fissi sul pavimento.

“Ce li avete quattordici anni?” chiese la maschera.
“Certo — dissi io — sono nato ad agosto del ’58 e visto che siamo a ottobre, quindi ho quattordici anni e due mesi.”
Scoppiò a ridere e ci lasciò passare. Sapevamo entrambi che non era vero, ma la balla funzionò e ci trovammo davanti a Laura Antonelli e Jean-Paul Belmondo, che nel film aveva sposato una donna brutta e finiva per innamorarsi della cognata, bellissima. Fu il lungometraggio che li fece incontrare anche nella vita privata.

Mi piace pensare che ora, da qualche parte, entrambi ci osservino: noi ragazzi un po’ attempati che nel 1972 ci inventavamo storie per entrare a vedere un film interpretato da loro.
E da allora, per sempre, sono rimasti Laura Antonellì e Jean-Paul Belmondò. Con quello strano accento finale che trasforma certe storie in leggenda.