
Sono cresciuto a pane e televisione. Alla fine degli anni Settanta, nella mia TV c’era lui: Emilio Fede. Non l’Emilio berlusconiano, ma l’Emilio “integrato”, per dirla con Umberto Eco: un mezzobusto, il ritratto della Rai di quegli anni. Quando passò alle televisioni di Silvio Berlusconi, lo persi di vista.
Mi resta impressa la gag delle bandierine durante un’elezione regionale – rosse e azzurre – che in qualche modo anticipavano il plastico di Bruno Vespa. E quando maltrattava Paolo Brosio – con il senno di poi, faceva benissimo – era diventato una macchietta, un uomo di spettacolo, del tutto lontano dalle notizie.
Emilio Fede non mi è mai stato simpatico. Incarnava tutto ciò che io non amavo e, spesso, disprezzavo. Cadde sulla vicenda di Ruby Rubacuori, e da quel giorno cominciò il suo declino.
Se un giorno si dovesse insegnare il suo metodo, sarebbe perfetto per spiegare come non fare certe cose. Eppure, leggendo commenti da più parti, noto un’improvvisa dolcezza, una pietas mielosa. Certo, la pietà non si nega a nessuno, e anch’io mi inchino davanti alla sua scomparsa.
Ma rimane – e rimarrà – quello che si può definire un “cattivo esempio”. Qualcuno obietterà: oggi ci sono personaggi peggiori, soprattutto in politica. Ribatto: se non ci fosse stato Emilio Fede, quell’Emilio della Fininvest, forse avremmo una classe politica diversa.
È solo un piccolo pensiero, che per fortuna conta poco. Ma vale la pena dirlo.
Questo articolo è stato scritto il martedì, Settembre 2nd, 2025 at 20:22
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Tags: berlusconi, etica, giornalismo, politica, televisione
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