
La notizia che alcuni cittadini italiani rischiano l’espulsione dagli Stati Uniti e, secondo alcune indiscrezioni iniziali, persino il trasferimento a Guantanamo per un semplice permesso di soggiorno scaduto, avrebbe meritato l’apertura di ogni telegiornale. E invece, è passata sotto silenzio. Nessun titolo a nove colonne, nessuna edizione straordinaria. Eppure, si tratta di un caso che tocca direttamente la dignità dei nostri connazionali e il ruolo internazionale dell’Italia.
Il Ministero degli Esteri, guidato da Antonio Tajani, si è mosso rapidamente per scongiurare il peggiore degli scenari: il trasferimento nel famigerato centro di detenzione cubano, simbolo delle violazioni dei diritti umani dopo l’11 settembre. Un luogo dove per anni sono stati trattenuti sospetti terroristi islamici, spesso senza processo, sottoposti a trattamenti inumani.
Il ministro ha rassicurato che gli italiani coinvolti saranno semplicemente espulsi e non finiranno in prigione. Si presume anche che sarà evitato lo spettacolo umiliante di un rimpatrio in catene. Ma resta lo stupore per il silenzio mediatico e, soprattutto, per la discrezione con cui il governo ha gestito la vicenda.
Quando gli “altri” – migranti africani, asiatici o mediorientali – arrivano sulle nostre coste, il governo non solo alza la voce, ma rivendica con orgoglio le deportazioni in Albania, le detenzioni nei centri di identificazione, le politiche di chiusura. Eppure, quando a essere espulsi sono “i nostri”, si preferisce abbassare i toni, evitare clamore, agire dietro le quinte.
Nessuno si interroga pubblicamente sul perché questi italiani si trovassero negli Stati Uniti, sul motivo per cui il loro permesso di soggiorno sia scaduto e perché non sia stato rinnovato. Nessuno sembra voler porre domande scomode a un alleato che si comporta in modo sempre più rigido, ostile, selettivo. Gli Stati Uniti, oggi, si rivelano per ciò che sono diventati: respingenti, intransigenti, spesso arroganti, e in alcuni casi ben lontani dai principi democratici che sbandierano.
Oppure, viene da pensare, nessuno nel nostro governo si pone queste domande perché, in fondo, ne condivide l’approccio. Quello stesso approccio che Donald Trump ha reso manifesto e che oggi si riflette, in forme meno eclatanti ma ugualmente spietate, nei comportamenti delle istituzioni americane.
Questa vicenda è uno specchio. Riflette le nostre ipocrisie, le nostre paure, la nostra doppia morale. E forse anche un po’ di sudditanza. Ma è meglio non parlarne.