Per quanto abbia masticato pane e galera per quarant’anni, non ho sinceramente compreso la dichiarazione del Presidente del Senato, Ignazio La Russa, rilasciata a margine della presentazione del libro di Gianni Alemanno e Fabio Falbo, entrambi detenuti a Rebibbia. I due autori affrontano, com’è naturale, il tema del carcere e il titolo del volume è di per sé eloquente: “L’emergenza negata. Il collasso delle carceri italiane”. Eppure, proprio in quell’occasione, il Presidente La Russa ha avanzato la proposta di un decreto “svuota carceri” che, in altri tempi, sarebbe stato frettolosamente bollato come “robba de sinistra”. Ciò che ha affermato, però, non si collega ad alcun disegno o decreto legge e risulta, comunque, nebuloso.
Che cosa significa, ad esempio, “fine pena a casa”? Un regalo di Natale per chi deve scontare gli ultimi mesi? E quanti mesi sarebbero? Sarebbe una misura destinata a tutti o soltanto a chi ha mantenuto una condotta impeccabile? Chi stabilirebbe questo sconto di pena, il Magistrato di Sorveglianza attraverso la liberazione anticipata? Servirebbe un decreto, appunto. Ma non c’è. E non c’è neppure una volontà politica autentica: manca una visione complessiva e l’idea di regalare tre mesi a diecimila detenuti non scalfisce minimamente il problema del sovraffollamento.
Il Presidente del Senato lo sa, e lo sa bene — altrimenti ci sarebbe da preoccuparsi — che questo governo ha operato in direzione opposta alla depenalizzazione, introducendo nuovi reati e irrigidendo i tempi di detenzione per la maggior parte delle fattispecie. Per di più, il vice ministro Del Mastro, con delega alle carceri, ha ripetuto in più occasioni che i vari “svuota carceri”, espliciti o mascherati, non hanno funzionato. Una bocciatura inequivoca per l’uscita di La Russa.
Da persona informata sui fatti posso limitarmi a osservare che discussioni da salotto come questa non incidono affatto sulla realtà del sovraffollamento né sulla drammatica sequenza di suicidi. Serve una politica diversa, capace di scommettere sulle persone più che sui reati, capace di valorizzare davvero i benefici di legge e di accompagnare chi lo merita verso gli ultimi quattro anni di pena — non gli ultimi mesi — all’interno di un progetto lavorativo autentico, solidale, orientato al reinserimento.
Il dibattito è sempre benvenuto, purché si radichi su presupposti concreti e non su enunciazioni vaghe e compiacenti. I detenuti hanno una dignità che non va accarezzata a colpi di slogan, e un mese di libertà concesso in prossimità del fine pena non risolve alcunché. Le persone, le loro vite, i loro conflitti, le loro attese non sono saldi di fine stagione. Neppure i detenuti.
