
Sanremo è cambiato, Sanremo non cambia, Sanremo che palle, Sanremo non serve. Il vortice delle parole (potrebbero essere fiumi, trattandosi del Festival) scorre in queste ore in tutti i luoghi e in tutti i laghi. Il nocciolo della questione è solo uno: le canzoni. Che nessuno mette in primo piano.
Si discetta – e molto – di outfit, di tatuaggi, di come si sta sul palco, di come ci si atteggia. Tutte cose che, per carità, fanno parte dello spettacolo, ma che nelle cuffiette o nel vecchio stereo poco c’entrano. Parlerò di canzoni e sensazioni.
Mi sembra di capire che il rock, almeno a Sanremo, sia definitivamente morto e sepolto (oddio, non se la passava benissimo) e che il rap si sia catechizzato alla melodia classica, lasciando a rappare solo il buon vecchio Fedez che, antipatia a parte, ha portato un pezzo molto bello e ben strutturato, con un testo dalle mille interpretazioni ma con uno scenario decisamente rap (7).
Tutti aspettavano (me compreso) Simone Cristicchi (7), che sicuramente vincerà il premio della critica. Ha una canzone potente, bellissima e visionaria, ma, ahimè, ha un tappeto musicale timido, poco armonioso, e sono convinto che anche al ripetuto ascolto non migliorerà.
I cantautori hanno fatto un ritorno quasi massiccio al Festival e, dopo Cristicchi, c’è la prima volta di Brunori Sas, bravissimo, sulla scia delle vecchie scuole di costruttori di musiche e parole. Il pezzo, è vero, ricorda vagamente melodie degregoriane, ma è bello, scivola bene, semplice e intuitivo. Può arrivare molto lontano (8).
Aspettavo Elodie (per lei 9), ma la canzone non ha convinto. Troppo sofisticata: tra Mina e Oxa, tra Alice e chissà. E neppure questa volta vincerà Sanremo, fermandosi alla sufficienza di stima (6).
Poi c’è Giorgia (9 lei e la canzone), che prende e porta a casa finalmente un pezzo ben costruito e ben scritto (Blanco), con il quale arriverà almeno sul podio.
La canzone che non ti aspetti (o, paraculamente, te l’aspetti) è quella di Achille Lauro: grandissima ballad, atmosfera noir da film anni Cinquanta, fumo e nebbia, incastri e ricordi ben miscelati (9). Anche lui da podio.
Lucio Corsi è quello che cammina sul filo leggero: tra Zero, Cattaneo e Camerini, costruisce un bel progetto con un testo controcorrente. Dove tutti giocano a essere Batman, lui, per fortuna, ci racconta di vivere una vita da Robin (9).
Il resto è Sanremo-circo: Gabbani (6+), classicone e rassicurante; Rkomi, così così (6); Noemi (6), troppo Noemi e poco Mahmood (suo il testo); Irama, sempre dark, sempre duro (6+); Coma_Cose, tra i Ricchi e Poveri e la felicità di Al Bano e Romina (5-); Marcella Bella, in perfetto stile Sanremo classic, ma con voce e grinta (6); Willie Peyote, alla ricerca di un Pino D’Angiò senza replicare Ma che idea (5); Rose Villain, spaccherà nelle radio (5); Olly, mi è piaciuto e sono convinto possa anche giungere sul podio (7-); Shalbo, non un grande rapper (5-); Massimo Ranieri, classe e voce, testo di Tiziano Ferro ben costruito, ma forse manca qualcosa (7-); Tony Effe, che prova a risvegliare il fantasma di Califano, ma il Califfo, davvero, è tutta un’altra cosa e questo è un pezzo orribile (4); Serena Brancale, forse troppo urlata, mi aspettavo di più (5-); i Modà, che ritornano a fare i romantici (5); Clara, che ripresenta Diamanti grezzi cambiando le parole (5); Bresh, che ha un buon avvenire davanti (6+); Gaia, il Sanremo alla Fiordaliso (5-); Sarah Toscano, incompleta (5); Joan Thiele, molto interessante (7-); Rocco Hunt, il classico che passa e nessuno se ne accorge (5); Francesca Michielin, un’incompiuta e, duole dirlo, la sua è un’involuzione (5-); e The Kolors, che usano Sanremo solo per costruire il tormentone che li porti al mare (5).
Questa la musica. Per il resto, poco da aggiungere: Jovanotti, troppo lungo; il Papa, troppo Papa; e Carlo Conti, troppo Pippo Baudo. Però non dirò mai che Amadeus era più bravo. Troppo facile.
Ogni cuoco cucina con gli ingredienti a disposizione, anche se, a dire il vero, gli ingredienti li ha scelti lui.
Alla prossima.