Occuparsi di minori non è mai semplice, e il rischio di scivolare nella retorica è sempre dietro l’angolo. Provare poi a raccontare storie di ragazzi dentro la diaspora politica diventa ancora più delicato: il caso di Bibbiano, da questo punto di vista, è un vero caso di scuola. Negli ultimi anni del mio lavoro mi sono occupato di minori difficili e mi sono reso conto che, oltre a essere complicato, è anche estremamente doloroso cercare di comprendere le situazioni familiari, le scelte dei genitori che inevitabilmente modellano comportamenti e vite dei futuri adulti. È complesso analizzare le azioni che, a volte, sfociano nella devianza. È un mondo che richiede lenti potenti e analisi mai superficiali.
“I bimbi nel bosco” sono al centro del dibattito in questi giorni in Italia. Una storia davvero difficile, con scelte che sollevano perplessità da più parti. I tre bambini fanno parte di una famiglia composta da due genitori stranieri: il padre, inglese, 51 anni, è un ecologista fondamentalista, ex chef e boscaiolo, imprenditore nell’export del legno; la madre, australiana, 45 anni, è una bio-trainer, proveniente da una famiglia agiata australiana, autrice di un libro con prefazione della regina danese. Una coppia apparentemente perfetta. Tre figli: la maggiore di otto anni e due gemellini di sei.
Perché ci occupiamo di questa famiglia? O meglio: perché se ne è occupata la magistratura? Non ci sono maltrattamenti, i bambini sono felici con i genitori, e l’affetto è evidente e ricambiato. Il punto è il contesto: siamo a Palmoli, in provincia di Chieti, dove la famiglia ha scelto di stabilirsi in un bosco dell’Abruzzo meridionale, in una piccola casa con un lavandino senza rubinetto e un unico stanzone in cui vivono tutti insieme. Niente acqua corrente, niente gas, niente luce elettrica. Ma non è una questione di povertà: è una scelta. Nathan e Catherine hanno deciso di vivere così.
I bambini non vanno a scuola e la strada dell’“unschooling”, l’educazione parentale con supporto di un docente, è stata giudicata fallimentare. Il Tribunale per i minorenni dell’Aquila non ha condiviso questa scelta ecologista estrema e, nell’interesse dei minori, ha deciso di affidarli a una comunità. I genitori vengono descritti come ecologisti fondamentalisti, no vax totali, determinati a isolarsi dal mondo, dalla plastica, dai regolamenti. Il padre, che rischia la perdita della responsabilità genitoriale, ha dichiarato: “Viviamo in un pianeta malato, pieno di violenza e droga”. Un’affermazione condivisibile, certo, ma non sufficiente per convincere i giudici a lasciarli nel loro habitat tanto originale quanto complesso.
Adesso la partita si sposta sul versante giuridico e, come da copione italiano, anche sulla politica. Salvini ha subito attaccato i giudici sostenendo che si tratta di “un sequestro di tre bambini portati via a una mamma e a un papà in maniera indegna, preoccupante, pericolosa e vergognosa. Andrò in Abruzzo la settimana prossima”, ha continuato, “giudice e assistenti sociali non rompano le scatole. Anche questa storia dimostra che una profonda, sana e giusta riforma della giustizia che non funziona sarà fondamentale”. Il ministro dei trasporti ha deciso di utilizzare lo stile “Bibbiano” dimenticandosi, ovviamente, come sono andate a finire le cose da quelle parti. La Presidente del Consiglio ha chiesto un’ispezione contro i giudici. La sinistra, più cauta, si è limitata a un laconico: “La priorità sono i diritti e la tutela dei bambini”.
Chi ha ragione? Nessuno. Questa vicenda è troppo delicata e il rischio di fare danni ai minori è enorme. Prima di tutto serve comprendere davvero le ragioni di due genitori amorevoli e attenti, ma che hanno scelto un’educazione radicalmente fuori dagli schemi considerati “normali”. Le ragioni degli adulti devono potersi armonizzare con la vita dei bambini, che hanno diritto a una crescita equilibrata, senza che interventi esterni – soprattutto politici – finiscano per strumentalizzare una questione con mille sfumature.
Come accade spesso nelle storie degli esseri umani, non esistono certezze, né approcci pragmatici che risolvano questioni così intricate. Non ci sono formule magiche. Servono tempo, prudenza e ascolto. Saranno educatori, assistenti sociali ed esperti pedagogisti a tracciare le linee affinché i tre bambini possano crescere nel miglior modo possibile, adottando un sentire comune che armonizzi la loro esistenza.
Non è semplice, ma gridare o schierarsi serve solo a peggiorare le cose. Non esistono formule matematiche quando si parla di minori, e non è detto che la cultura dominante sia quella giusta. O quella sbagliata. Serve capire, davvero capire, dopo aver valutato con attenzione tutte le strade percorse da questa famiglia.
Il Tribunale dei minori ha davanti a sé un compito difficile. E la politica, per favore, questa volta resti sugli spalti senza fare il tifo. Non è la partita giusta.
