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Bocciato

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Ad emettere il verdetto è stato il professor Matteo Salvini nei confronti del generalissimo Roberto Vannacci. E già questa, di per sé, è una notizia: un professore improvvisato che giudica un generale improvvisato storico.

Il verdetto è una bocciatura.
Vannacci, dopo essersi scoperto scrittore e sociologo dell’“uomo normale”, ha deciso di calarsi nei panni di un Guicciardini, di un Salvemini o, peggio, di un Renzo De Felice redivivo, con l’ambizione di riscrivere la storia del fascismo. Otto volumi condensati in una tesi grottesca: Mussolini buono, vittima dei cattivi. La solita favola del revisionismo che cerca la redenzione dei carnefici.

Ma qualcosa si è incrinato nella Lega. Perfino Salvini, il capo, si è affrettato a prendere le distanze dal suo generale di cartone:

«Il fascismo è stato sconfitto dalla storia, io penso al futuro».

Una frase che pare un esercizio di equilibrismo verbale, tanto goffo quanto inutile. Una di quelle risposte che dicono tutto e nulla, che servono solo a galleggiare, a non dispiacere troppo né agli eredi del Duce né a chi ancora si ostina a credere nella Costituzione antifascista.

Ma nel partito che nacque con una chiara impronta antifascista, qualcuno ha il coraggio di puntualizzare. Luca Zaia, il governatore del Veneto, ha ricordato che le leggi razziali furono “una schifosissima pagina di storia”, e che giustificarle non è possibile “in alcuna maniera”.
Parole che dovrebbero essere ovvie, ma che oggi, nel Paese del revisionismo e dell’amnesia, suonano come una bestemmia.

Il punto, però, è un altro.
Vannacci non gioca. Il suo nuovo libro, La storia al contrario, è pronto. E promette di ribaltare la verità, di raccontare che il fascismo fu una parentesi male interpretata, un equivoco della modernità.

È in questa pretesa che si misura la malattia morale del nostro tempo: l’idea che tutto possa essere riscritto, distorto, manipolato fino a perdere senso. Che la verità non conti, che la memoria sia un’opinione.
E intanto il generale – con le sue pose da patriota e il suo lessico da caserma – diventa protagonista dei salotti televisivi, invitato, ascoltato, applaudito.

Eccolo il nuovo spettacolo italiano: un Paese che ride di sé stesso mentre contorcendosi scivola verso il nulla.
Non è più la commedia dell’arte, ma una farsa oscena in cui i ruoli si confondono, dove il carnevale della menzogna è diventato regola e costume.

Non meritiamo Vannacci, certo.
Ma lo subiamo. Come subiamo un’intera classe dirigente composta d piccole persone che hanno fatto del ridicolo una forma di potere.
E forse, davvero, dovremmo cominciare a sorridere di meno.
Perché quando si smette di ridere, spesso è il momento in cui si ricomincia a pensare.