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Bambini, leggi e boschi poco fatati

Bambini, leggi e boschi poco fatati

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Proviamo, senza furore demagogico ma con un minimo di memoria storica, a rimettere in fila la vicenda nota come “la famiglia nel bosco”. Due genitori, tre bambini minorenni e una scelta di vita estrema: via plastica, via modernità, via tutto. Una sorta di ritorno alle origini, tranne per YouTube che, curiosamente, non viene affatto disdegnato.

I bambini, però, non risultano iscritti alla scuola dell’obbligo. Qui non ci sono favole bucoliche che tengano: la legge è legge. Il Tribunale dei minorenni apre un’indagine, si avvale di assistenti sociali e pedagogisti, parla a lungo con i genitori, tenta varie strade. Alla fine decide di trasferire i minori in una casa famiglia, ospitando anche la madre. Il padre può vederli una volta al giorno. A questo punto esplode il solito teatrino: chi difende i giudici, chi li attacca, chi urla all’ennesima “ingiustizia”. Il Paese si spacca e sentenzia, come sempre.

Eppure un punto è chiarissimo e scomodo: l’obbligo scolastico. Molti dei politici che oggi strillano contro i giudici dovrebbero rileggersi le norme che loro stessi hanno votato. Fino a poco fa, chi non mandava i figli alle scuole primarie rischiava una semplice ammenda da 30 euro. Con la legge del 13 novembre 2023, n. 159, – firmata da Giorgia Meloni, con Salvini e Nordio ai posti di comando – la musica è cambiata. Drasticamente.
Se un minore non viene iscritto nei tempi previsti, il genitore rischia fino a due anni di carcere. Non due giorni, non due settimane: due anni. Se si fa istruzione parentale correttamente (homeschooling), nessun problema; ma le procedure vanno rispettate.

Ora la domanda, semplicissima, che tutti dovrebbero porsi è:
i genitori hanno iscritto i figli?
E, se non lo hanno fatto, hanno seguito le regole dell’homeschooling?

Il carcere – ripeto: due anni – lo prevede questo governo. Gli stessi che oggi si sgolano contro i giudici, rei di applicare una legge che loro stessi hanno voluto, urlato, scritto e approvato. Anche questa, una contraddizione squisitamente italiana e nessuno ha avuto nulla da rimarcare quando l’articolo è stato inserito nel famigerato decreto Caivano. Il carcere, ovviamente, non servirà, in questo caso, come deterrente.

Poi c’è la parte civile. Se il giudice ravvisa una “grave trascuratezza” a danno del minore, può limitare o revocare la responsabilità genitoriale (artt. 330 e 333 c.c.). E può disporre l’allontanamento. Ma questo non accade automaticamente solo perché un bambino non va a scuola: serve un pregiudizio reale, concreto, serio.

Ora, un minore che vive senza energia elettrica, acqua potabile, servizi igienici e senza contatto con altri bambini è in una condizione perlomeno singolare. C’è chi la chiama libertà, chi la chiama sogno bucolico. Ma è facile sognare la vita nel bosco mentre si sta sul divano, con lo smartphone in mano, mandando foto di gattini mai visti dal vivo e giudicando gli altri a colpi di post indignati.

La verità è che questa è una storia complessa, dove non si può dire a cuor leggero chi ha ragione e chi ha torto. Si può però dire che ci sono leggi – severe, volute, approvate – che vanno rispettate. E che la decisione finale, quella davvero pesante, è stata quella di allontanare i minori. Se i giudici sono arrivati a tanto, bisognerà verificare tutti i passaggi. Anche perché, così com’è la norma, i genitori rischiano davvero fino a due anni di carcere.

In definitiva: qualcuno scrive le leggi pensando di colpire solo “certe categorie”. Poi le stesse leggi arrivano a bussare alla porta di chi quelle categorie non immaginava nemmeno. E allora ci si scandalizza. Ma non si può pretendere che i magistrati applichino le leggi a giorni alterni, a seconda dell’umore politico.

Parlatene. Ma tenendo conto di tutto questo, non solo della poesia delle farfalle e dei boschi. Perché qui, al centro, ci sono tre bambini e i loro diritti. E quelli non cambiano con i sondaggi.