Così ci ritroviamo, per l’ennesima volta, nel burrone dove il buio e l’angoscia ci assalgono. E, come sempre, proviamo a dire – con parole sempre più lievi, sempre più roche – che tutto questo era già scritto, che come uomini dovremmo chiedere scusa, che le donne devono essere rispettate e che Cinzia è, adesso, una in più.
Noi che avevamo gridato “basta”, che avevamo sperato in un momento di pausa dall’orrore. Cinzia ci fa male, come Giulia, come Antonella, come Laura. Forse ci fa più male perché viveva nella nostra isola, addirittura a Castelsardo, luogo a me caro. Ci fa più male perché non capivamo. C’erano sospetti, paure. Il paese si chiedeva, si interrogava.
Così ci ritroviamo a raccogliere le lacrime per l’ennesima donna uccisa, per l’ennesimo femminicidio. Ci ritroviamo a camminare nella stanza dello sgomento, provando a lenire il dolore e la rabbia che, come è naturale, rischia di prendere il sopravvento.
Non è importante chi è stato, cosa facesse. È importante tenere la barra ferma solo su una domanda: perché?
Si troverà, come tutti gli assassini, ad attendere il responso di un tribunale, ad affrontare il buio e il silenzio di una cella, a sentire il battito e il rumore sordo delle sue azioni. Noi qui, a masticare rabbia e impotenza per un’altra giovane vita che ci ha abbandonato. Noi qui, a sperare che Cinzia sia l’ultima e a sapere che non è così.
Non è solo questione di cultura, di patriarcato, di egoismo subdolo, di cattiveria. Non è solo quello. È anche questione di formazione, di mancanza di modelli validi, di insegnamenti che nelle scuole non ci sono più, e di un terrore che ancora oggi impedisce di parlare, ad esempio, di educazione sentimentale, di educazione sessuale, di rispetto.
Così ci ritroviamo con il corpo di Cinzia e non abbiamo risposte. Ci portiamo dentro quel silenzio irripetibile, quel silenzio che avvolge la tristezza e la consapevolezza di essere, ancora una volta, degli sconfitti. Perché con la morte di Cinzia abbiamo perso tutti.
