
Vi chiederete: e la maglia? E l’amore incondizionato che pareva per sempre? E l’affetto, la voglia di continuare, di rialzarsi dopo la brutta sconfitta della finale di Champions? Tutto evaporato in meno di un’ora. Simone Inzaghi lascia l’Inter e andrà ad allenare in Arabia.
Questione di soldi, di stimoli da ritrovare, di voglia di ripartire comunque da qualche altra parte che non fosse San Siro. Quasi a non voler guardare in faccia quel pubblico che, probabilmente, gli avrebbe chiesto conto di quelle cinque reti prese nella brutta serata di Monaco.
Gli amori finiscono, e nessuno – a quanto pare – verrà a chiedergli del suo amore per la squadra. Nessuno. Perché fa parte delle regole del gioco. Perché, prima o poi, il passerotto andrà via, il bello senz’anima troverà un’altra soluzione, e 1.460 giorni di noi e di te forse erano troppi. Chissà. Non ci sono più le bandiere, non ci sono più quelli che vestono una sola maglia. Sul prato non corrono più Rivera, Mazzola, Riva e Totti. Oggi, come dire, è tutto più fluido. Si va dove ti porta l’interesse. Non poteva lasciare questa splendida occasione: da sei a venti milioni (o forse qualcosa in più). Mi chiedo: ma cosa se ne fa di tutto questo?
Domanda sbagliata. È l’azzardo che comanda. È il provarci da qualche altra parte. Inzaghi, nei suoi quattro anni all’Inter, ha dato tanto. Non aveva una squadra stellare, ma neppure da buttar via.
I veri sportivi lo ringraziano per le gioie e per le lacrime. Nello sport, come nella vita, serve tutto. E avanti con il prossimo amore bello, che prima o poi andrà via. Come tutti. Come sempre. Buonanotte, Inzaghino.