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Adolescenza

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La morte trasporta tutto verso binari ciechi, verso l’incomprensione. Tutto, di fronte alla fine, diventa complesso, incomprensibile, inaccettabile. Se poi a morire è un ragazzino di quattordici anni, il mondo diventa un grande nemico: cielo e terra si sovrappongono, i colori spariscono e gli attimi si tingono di un solido e terribile grigio — il colore dello sgomento.
Andrea si è ucciso e tutti provano a capire in quale baratro fosse caduto, in quale viottolo dell’esistenza si fosse perduto. I genitori non riescono a trovare risposte e cercano, nei gesti degli altri, indizi su cosa sia realmente successo. Perché si è tolto la vita proprio il giorno prima di rientrare a scuola? Quali erano le sue paure, le sue incertezze? Lui, che amava la musica, che sapeva camminare sul pentagramma cercando soluzioni, non è riuscito a superare qualche scoglio, qualche curva, qualche maledetta insidia che gli si era frapposta tra la vita e la disperazione.
Quel baratro, quell’abisso, quel buco nero adesso è frequentato dai genitori che non accusano tanto gli amici, i professori o la scuola, quanto il silenzio di quel mondo che forse in qualche modo si sente coinvolto nella scelta estrema del ragazzo. Lo prendevano di mira fin dalle elementari. C’era stato un bambino che si presentò con un coltello di plastica in classe dicendo che voleva ammazzarlo e, secondo i genitori, la maestra li incitava alla rissa. Cose così — cose brutte, incandescenti e quasi impossibili da credere. Lo chiamavano “Nino D’Angelo” perché portava i capelli lunghi e biondi, come il cantante neomelodico agli inizi della carriera. Lo accusavano di essere uno spione. Cose banali, stupide, insulse. In qualche modo riconducibili alla sfera dell’adolescenza: elementi che soppesano la fragilità degli anni e la difficoltà a trovare un punto d’incontro.
Anche il funerale è stato motivo di scontro. I genitori affermano che si è presentato solo un ragazzo; i docenti sostengono, invece, che i compagni di classe c’erano tutti ma non si siano fatti avanti a porgere le condoglianze. Cose così, che lasciano sgomenti e sottolineano l’aridità dei gesti.
Andrea si è ucciso e il perché è aggrovigliato all’interno della sua scelta – una scelta che per molti risulta irrispettosa – che va rispettata nella sua drammaticità. Ci troviamo davanti a un’altra tragedia per la quale non riusciamo a trovare risposte. Forse non ce ne sono; in ogni caso, non vanno cercate in una sola direzione. Quel male di vivere, quella solitudine marcata, quel rifiuto di confrontarsi con gli altri sono il punto da cui dovremmo partire prima di emettere sentenze che rischiano di essere totalmente sbagliate.
Scegliere di morire, scegliere di non mettersi in gioco, è una decisione difficile, quasi incomprensibile, ma è comunque una scelta da rispettare. Non ci sono colpevoli o innocenti: c’è la storia di Andrea e le storie di tanti altri che hanno deciso di scendere dal treno a una fermata intermedia. La colpa non è di chi ha tirato il freno a mano, non è del macchinista e non è di chi su quel treno era seduto e magari ascoltava musica con le cuffie, leggeva o era distratto. Non ci sono colpe, ci sono scelte.
E ci sono domande che tutti dovremmo iniziare a porci: genitori, compagni di classe, docenti. Dovremmo provare a chiedere ai nostri figli qualcosa che non chiediamo mai, occupati come siamo a trovare soluzioni effimere e legate al “cosa ti manca”. Piuttosto, dovremmo più semplicemente domandare: “Come stai?” e, soprattutto, ascoltare le risposte  provando a captare  i silenzi.

16:24 , 18 Settembre 2025 Commenti disabilitati su Adolescenza