
A scuola, lo ammetto, ho copiato qualche compito di matematica (perché non era il mio mestiere). Per vergogna e per paura, però, modificavo qualcosa per non essere scoperto, ignaro che, cambiando anche solo un numero, il risultato sarebbe stato diverso.Da grande ho provato a riprodurre (e non copiare) qualche tela di Picasso e Mirò, con risultati soddisfacenti, ma inutili: lo avevano già fatto loro, e meglio. Ho capito che copiare è, in fondo, una scorciatoia triste. Il professore ti scopre, i critici d’arte ti distruggono, e finisci col portarti dietro per tutta la vita il brutto epiteto di “copione”.Anche scrivere è difficile. Qualcuno, a dire il vero, ci prova: copia o si affida all’intelligenza artificiale. Con pessimi risultati. Lo stile non si copia, e non si può costruire un vero libro con l’intelligenza artificiale. Mancano l’anima, la voce interiore, la ferita.Più prosaicamente, ho scoperto che ad Alghero qualcuno ha pensato bene di imitare il nome di un locale, chiamando il suo allo stesso modo. Chi fa una cosa del genere non ha fantasia: viene subito scoperto e, per quanto possa cercare di giustificarsi, ci fa una pessima figura. Poteva, per esempio, rivolgersi proprio all’intelligenza artificiale per cercare un nome diverso. Ma niente.La cosa curiosa è che il locale originale si trova proprio davanti a Capo Caccia, e gode di un tramonto meraviglioso. Quello copiato no. Ecco, l’intelligenza artificiale, per quanto potente, non avrebbe mai potuto costruire quello scenario.Piccolo consiglio: forse è meglio cercare qualcosa di originale. Copiare può sembrare simpatico a scuola, ma da grandi è ridicolo. Ed eticamente improponibile.