Io non mi sento italiano, ma — come diceva Gaber — per fortuna o purtroppo lo sono.
Non mi sento neppure europeo, né statunitense, non mi sento francese e tantomeno russo. Non mi sento israeliano e non mi piacciono i palestinesi di Hamas.
Mi sento in sintonia con il silenzio, quello vero, che di questi tempi non esiste più.
Mi sento in contrapposizione con chi aspira a uccidere qualcuno nella convinzione che, così facendo, poi ci sarà la pace.
Mi sento male quando al mio silenzio contemplativo si sovrappone quello, inerte, di un governo che — per bocca del Ministro degli Esteri — si limita a dire all’Iran: “Non reagite più”, e a Israele: “Fermiamoci qui”.
Ecco, fermiamoci. Riflettiamo. Parliamone.
Ha ragione Bersani: “Né Netanyahu massacratore di Gaza, né il suo amico Trump portano pace.”
Eppure, non succede nulla.
Siamo inermi, raccolti nei nostri pensieri.
Tanto, in fondo, siamo italiani, e questa storia — ci diciamo — non ci riguarda.
Abbiamo secoli di storia, il Rinascimento, Garibaldi, il Festival di Sanremo, la patria, il mare, la pizza, il mandolino.
Abbiamo l’estate da organizzare, le serate dove cantare, i tarallucci e il vino.
Ecco, io non mi sento italiano.
E trovo il mondo un posto peggiore di come l’avevo immaginato.