
Guardando il fiume, mi è venuto in mente il mare.
Osservare da vicino le acque dell’Isonzo mi ha riportato indietro, alla mia esperienza scolastica, alla Prima guerra mondiale raccontata con maestria dal mio professore di storia, a Giuseppe Ungaretti e alle sue poesie sul Carso, alla conquista di Gorizia e alla disfatta di Caporetto.L’Isonzo è un fiume della mia infanzia, dell’epopea patriottica, della bellezza e della brutalità dei gesti.
Osservandolo dal ponte, proprio dove si vide la riconquista di Gorizia, mi sono chiesto: perché è così silente, docile, impalpabile? Eppure ha sputato sangue, fango, disperazione. Ha visto uomini incrociarsi, scontrarsi, morire. Da queste parti, dove il fiume ora scorre lento, c’è stata una guerra.
E allora ho capito che le cose brutte, le cose terribili che l’Isonzo ha trascinato per mesi e anni sono finite dritte al mare, vero custode di storie, vero narratore del mondo.
Gaza non ha fiumi.
Le storie lì si fermano tra i palazzi e le bombe, e il mare osserva, inerme, stanco.
Forse è vero che tutta la storia del mondo finisce per raggiungere il mare. Il fiume è solo un passaggio. Quel mare davanti a Gaza ha un colore forte, duro, e tutti fanno finta di non vedere.
Tanto, tra qualche anno, l’acqua si calmerà e cambierà direzione. Ci sarà un altro Isonzo, e un altro mare dove gettare le storie sbagliate.
Questo siamo.
E stiamo come d’autunno sugli alberi le foglie.
Guardando l’Isonzo, è ricomparso Ungaretti. E il Carso. E il mio vecchio professore di storia. Proprio il giorno degli esami di maturità.