
C’è gente che proprio non ce la fa, non ci riesce. Neppure se li aiutiamo ad unire i puntini con un disegno facile ed elementare. Così, visto che l’arbitro designato per una partita di calcio per ragazzini di una periferia romana è, in realtà, un’arbitra, i genitori pensano bene di programmare una diretta sui social con immagini e i loro commenti che, ovviamente, sono terribili. Si parte dal fatto che, siccome è donna, non capisce nulla di calcio (e questo, purtroppo, in chi ha pochi neuroni e mal funzionanti lo possiamo comprendere) per giungere alla constatazione che “in quanto donna” dovrebbe andare a fare gli gnocchi. La cosa più sorprendente è che (e ha dell’incredibile, credetemi) riescano a coniugare il sostantivo ma non se ne capacitano: “ma quest’arbitra è femmina?” Ovviamente tutto questo accade prima che cominci la partita perché poi le cose, ovviamente, peggiorano. Ad ogni fallo fischiato contro, non più l’epiteto “arbitro cornuto” ma più semplicemente “è una donna e non capisce nulla di calcio” “quando vede una palla non capisce più niente”. Noi possiamo anche provare a organizzare mille convegni dove, ovviamente, questi personaggi non si presenteranno mai, possiamo dipingere le panchine di rosso ma se non riusciamo a formare almeno i figli ad una cultura dell’uguaglianza abbiamo perso. Davvero. Lottiamo affinché quei giocatori in erba, quando sentono la frase “è una donna, dovrebbe andare a fare gli gnocchi”, bloccassero la partita e dicessero all’arbitra “non giochiamo più”. So che non accadrà, ma mi piace pensare possa accadere.