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41 bis in Sardegna

41 bis in Sardegna

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Ancora polemiche, ancora prese di posizione nette contro l’arrivo in Sardegna dei detenuti sottoposti all’articolo 41-bis della legge 354/75. Ancora discussioni che si accendono e si spengono a intermittenza su un tema già sviscerato a fondo negli ultimi mesi, ma che puntualmente riemerge per occupare spazio – e offrirne, soprattutto, agli esperti di tastiera – nel dibattito pubblico. Da oltre quarant’anni ripeto che la Sardegna necessita di circa 1.300 posti dedicati ai detenuti nativi e residenti sull’isola. Il dato, da trent’anni, oscilla appena. L’isola non registra, allo stato attuale,  detenuti in regime di 41-bis: i presenti nelle carceri sarde provengono interamente dal resto d’Italia.

A Sassari Bancali, Cagliari Uta e, in misura minore, a Nuoro, sono state realizzate sezioni specifiche per chi ricade in regimi detentivi particolari, diversi da quelli ordinari. Novantadue posti a Sassari, altrettanti a Uta: sezioni approvate e finanziate al momento della progettazione. Qui opera il personale dei Gruppi operativi mobili della Polizia penitenziaria, preparato per gestire situazioni ad alta complessità.

Il sistema penitenziario dipende dal Ministero della Giustizia e, per il settore adulti, dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che attraverso una direzione generale dedicata stabilisce la governance delle carceri italiane e pianifica i trasferimenti dei detenuti di alta sicurezza e di quelli sottoposti al 41-bis. In Sardegna sono attivi dieci istituti penitenziari: erano dodici, prima della chiusura di Iglesias e Macomer negli anni Duemila. La loro capienza regolamentare complessiva è di 2.583 posti letto, a fronte di 2.547 presenze registrate al 31 ottobre 2025. Se si sottraggono i circa 1.300 posti necessari per i detenuti sardi, rimangono oltre 1.200 posti pienamente disponibili per i trasferimenti deliberati dal Dipartimento. La territorializzazione della pena rende quasi impossibile allontanare i detenuti comuni, mentre risulta più agevole spostare i soggetti appartenenti ai circuiti di alta sicurezza. Non a caso, nei penitenziari di Oristano Massama e Tempio Nuchis la popolazione detenuta è costituita in larga parte proprio da questi ultimi.

Questo è il dato strutturale, e dentro questo perimetro la manovra politica è minima. La Regione Sardegna, come tutte le altre, non può intervenire su scelte operative quali la movimentazione dei detenuti. Continuare a convocare tavoli, rilasciare dichiarazioni, alimentare attese destinate a infrangersi è un esercizio sterile. Da tempo richiamo l’attenzione su un solo punto: occorre modificare l’articolo 41-bis nella parte in cui consente l’invio dei detenuti sottoposti a quel regime nelle isole. È l’unica strada politica reale. Tutto il resto non produce effetti.

Una volta cancellata la previsione relativa alle isole, resterà da affrontare un nodo tutt’altro che marginale: come impiegare i posti che inevitabilmente resteranno liberi in Sardegna; quali tipologie di detenuti potranno essere trasferite; quali percorsi, quali programmi potranno essere attivati. Quei 1.200 posti devono trovare una destinazione coerente, perché non si possono trasferire, per legge, persone a una distanza forzata dagli affetti.

Sminuire la complessità di questo quadro con commenti estemporanei – dal “portateli a casa” al “li ha voluti la sinistra” fino al più abusato “sono tutti ladri” – non offre alcun sollievo. Riduce un tema enorme a un riflesso pavloviano, e cancella ogni possibilità di comprensione. I laureati all’università della strada, come sempre, non dispongono di soluzioni.