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Un futuro senza manganelli (La Nuova Sardegna, 15 Marzo 2024)

Un futuro senza manganelli (La Nuova Sardegna, 15 Marzo 2024)

Ho diviso quaranta anni della mia vita con gli agenti di custodia e la polizia penitenziaria. Anni densi, tra momenti esaltanti e altri di complessità. Ho avuto l’onore di incontrare uomini e donne animati dal senso dello Stato, dalla tenacia e dalla volontà di stare in prima linea per garantire sicurezza e offrire redenzione a chi ha errato. Essi, come direbbe Pasolini, sono figli dei poveri; e anch’io, figlio di un operaio, non posso che simpatizzare con loro. Non è più tempo di dire che “sto con i poliziotti perché gli altri hanno l’aria di figli di papà”. Ora, anche i figli degli operai e dei poliziotti frequentano l’università, e gli eventi di Valle Giulia che ispirarono le potenti rime di Pasolini sono lontani nel tempo, nel 1968. Molte vite fa.

Oggi ci confrontiamo con un’affermazione altrettanto potente del presidente della Repubblica: “L’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli, ma sulla capacità di assicurare sicurezza proteggendo, al contempo, la libertà di esprimere pubblicamente le proprie opinioni. I manganelli, usati sui giovani, rappresentano un fallimento”. Queste parole dovrebbero essere il fondamento di ogni corso di formazione nelle accademie di polizia. Dico questo perché negli anni ho collaborato con queste istituzioni e ho dialogato, attraverso lezioni, con gli agenti e i sottufficiali destinati ai penitenziari italiani. Ho anche contribuito all’organizzazione di corsi di aggiornamento per personale già in servizio. Mi ha sempre colpito l’atmosfera.

Il punto cruciale è questo: come intervenire nella formazione e negli aggiornamenti. Come costruire interventi basilari, come far comprendere che siamo parte di una comunità eterogenea, dove alcuni dissentono, dove ci sono persone che infrangono le regole ma che, nonostante le punizioni, devono essere rispettate. L’autorevolezza delle forze dell’ordine, come ha eloquentemente affermato il capo dello Stato, non si misura sui manganelli, ma sulla forza delle parole, sulla mediazione, sulla capacità di comprendere chi abbiamo di fronte e che non la pensa come noi. Questo è ciò che ho sempre cercato di insegnare quando sono stato coinvolto nelle scuole di formazione. Questo è ciò che dobbiamo esigere venga insegnato, come principio fondamentale, ai giovani che decidono di intraprendere una carriera nelle forze dell’ordine.

Molti di loro sono ancora figli di operai, ma sono quasi tutti diplomati e molti laureati. Gli scenari sono cambiati e dire che “sto con i poliziotti perché gli altri sono figli di papà” è un’idea superata dagli eventi. Io sto con i poliziotti quando dimostrano di essere parte della comunità e contribuiscono a rafforzare la democrazia. E sono in molti a farlo, quasi tutti. Ve lo posso garantire perché ho lavorato con loro. Quei pochi che non lo fanno, che ho conosciuto personalmente, non hanno scuse: devono capire di essere in minoranza e che i rigurgiti squadristi e fascisti appartengono a un passato che non deve tornare. Un po’ come la struggente poesia di Pier Paolo Pasolini, che rimane uno degli intellettuali che amo e rispetto di più.

Chi predilige la forza alla mediazione non può essere un buon poliziotto, né un buon cittadino. Chi sostituisce il manganello con le parole è già sconfitto. Il poliziotto è il pilastro della democrazia: garantisce la sicurezza a tutta la comunità e assicura, soprattutto, che il dissenso possa essere visibile e udito. Non si inasprisca il clima, non si abbandonino le parole. Con i manganelli non si costruisce il futuro di nessuno.