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Resistere a Mafiopoli. Incontro con Franco Vassia

Resistere a Mafiopoli. Incontro con Franco Vassia

Le convergenze parallele.

Vi sono sempre mille rivoli che si incontrano nei destini degli uomini. Oppure si nutrono di similitudini ma non riusciranno mai a seguire la stessa strada. Vivranno una vita parallela. Non sapranno, neppure, di aver calpestato la stessa terra. Eppure mi piace pensare alle “convergenze parallele” una locuzione coniata proprio da Aldo Moro che dentro questa storia, percorse, suo malgrado, un binario molto vicino a quello di un altro uomo da un atroce destino: Peppino Impastato. Entrambi sono attori non protagonisti del mio libro “il giorno di Moro” perché entrambi sono mori lo stesso giorno e lo stesso anno: 9 maggio 1978 ed entrambi son stati considerati agnelli sacrificali solo che, per Peppino ci sono voluti 23 anni per ottenere giustizia. Ieri, a Tissi, un piccolo paese alle porte di Sassari, si è inaugurata Piazza Peppino Impastato ed è una bella piazza bianca e immacolata davanti al comune governato da un sindaco donna forte e volitiva: tenace, loquace, intransigente, con la voglia di ricordare e di lasciare il proprio luogo migliore di come lo ha trovato. Un sindaco che,per me è stata una bellissima sorpresa. Al suo primo mandato ma non si ricandiderà,mi ha confessato, perché la politica è impegno e cinque anni sono moltissimi da dedicare agli altri. Ha detto proprio così:”da dedicare agli altri”. Un discorso quasi commovente. Ma chi era Peppino Impastato? Ho potuto dialogare con Franco Vassia, il coautore del libro “resistere a Mafiopoli” (Stampa Alternativa, € 14.00) perché Giovanni Impastato era impegnato. Peppino è un eroe, suo malgrado e proveniva da una famiglia di Mafia. Era, dunque, destinato anch’esso, come il padre, a divenire mafioso. Ma i destini nascondono sempre strane convergenze nel cammino della vita e lui, Peppino,non era adatto per vivere a Mafiopoli,non era adatto per “baciare le mani” e neppure per stringerle a certi personaggi. Infatti, quando uccideranno il padre, colpevole di voler difendere il figlio e quasi pentito di far parte di una cosca, gli assassini andranno al cospetto dei familiari per le condoglianze e Peppino nasconde le braccia dietro la schiena. Quel gesto era per quei signori eloquente: rompere l’appartenenza della famiglia con la mafia. Definitivamente. Peppino Impastato era un sognatore, un creativo, uno che giocava con le parole,che scriveva in un giornale ciclostilato, un po’ come tutti noi a quei tempi, partecipava alle lotte contro le centrali nucleari (guarda un po’, la storia si ripete) frequentava Lotta continua, leggeva il Manifesto, ascoltava Claudio Lolli e Francesco Guccini (gli eroi son tutti giovani e belli). Fondò una radio “radio aut” e cominciò ad usare il mezzo con lucida follia: contro la mafia, attraverso le parole e la dissacrazione: Tano Badalamenti diventava Toro Seduto, i mafiosi venivano sbertucciati, derisi e il paese di Cinisi rideva. Il potere non ama il sorriso (Umberto Eco lo ricorda mirabilmente nel “Nome della rosa”) e non sopporta la verità. Peppino doveva morire. Scelgono, per farlo, una messinscena squallida e perfida: All’interno di un casolare lo massacrano a sangue, lo immobilizzano, lo distendono sui binari della ferrovia e,con una carica di tritolo posizionata all’altezza del petto, lo hanno fatto saltare per aria. Non si troveranno,mai, tutti i pezzi del corpo. Questa è la crudeltà dei mafiosi, di chi ha paura delle parole. Poi, la macchina del fango comincia a muoversi velocemente: “Un terrorista è saltato in area preparando un attentato presso una ferrovia”. Questo scrissero i giornali e questo decisero le indagini. Un Giangiacomo Feltrinelli del sud. Lo abbandonarono. Ma il destino, a volte riesce a disegnare nuovi binari che,magari, un giorno si possono incontrare: le convergenze parallele. Peppino non rimane solo, la madre, il fratello, i compagni cercano la verità che riuscirà a trionfare solo 23 anni dopo: Tano Badalamenti è condannato, in primo grado, come mandante dell’assassinio di Giuseppe Impastato, martire di Mafiopoli. Questo abbiamo raccontato ieri sera con Franco Vassia davanti ad un pubblico giovane e attento, che vede la mafia come un gioco cattivo e lontano ma che ha capito che esiste e che può far male. Peppino Impastato è dentro lo zaino della nostra memoria con Rocco Chinnici (fu lui a cercare la verità, per primo su Peppino prima di essere ucciso,) con Falcone e Borsellino (furono loro a trovare il bandolo della matassa di questa maledetta storia, prima di essere uccisi), con Caponnetto, Terranova e tanti altri che campeggiano forti nei nostri ricordi. Perché gli eroi son tutti giovani e belli. Soprattutto belli dentro.