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Quei giudici maiuscoli che passarono per l'Asinara (La Nuova Sardegna, 25 maggio 2017)

Quei giudici maiuscoli che passarono per l’Asinara (La Nuova Sardegna, 25 maggio 2017)

La recente visita della commissione parlamentare antimafia in Sardegna è servita per chiarire alcuni equivoci e porre le basi per piccole certezze: lo Stato – quello con la esse maiuscola -da tempo combatte la mafia attraverso misure legislative forti e decise. Quella del regime penitenziario “duro” sancito dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario è una delle misure più efficaci per combattere la criminalità organizzata. Lo ha chiarito il Presidente Bindi e il suo vice presidente Fava. La casa Circondariale di Bancali è risultata una struttura moderna, efficiente, sicura, idonea per gli standard europei. La Commissione ha apprezzato la professionalità, l’organizzazione e il senso dello Stato che tutti gli operatori dimostrano di possedere.

Sono passati alcuni anni da quando tra mille polemiche si decise che la Sardegna avrebbe ospitato detenuti sottoposti all’articolo 41 bis. Quelle polemiche sono ormai superate dai dati di fatto: i detenuti, seppure trattati con dignità, non sembrano poter godere né di privilegi o di occasioni per poter continuare a trattare affari illeciti con i loro affiliati. L’isolamento cui sono stati sottoposti ha prodotto dei risultati importanti e la paura di una presunta contaminazione dei mafiosi con la criminalità sarda sembra relegata ad un’ipotesi molto lontana, anche perché alla mafia interessano i grandi capitali, con possibilità di investire su un business che nella nostra isola non esiste. Si combatte la mafia perché, come ricordava il giudice Falcone, è una cosa inventata dagli uomini e come tutte le cose, prima o poi finisce. Si racconta che un detenuto “di peso” alla vista dei parlamentari in visita a Bancali abbia chiesto chi fossero e alla risposta: “Siamo la commissione antimafia”, pare abbia ribattuto: “E che ci fate qui? Mica c’è la mafia in questo carcere”. La classica risposta di chi, ancora oggi, vuole continuare a vivere da attore protagonista all’interno dell’eterno teatro dell’assurdo. E invece quel carcere dentro un’isola, le dovute attenzioni, il rigore, la certezza della pena, comincia a logorare chi utilizza le parole sempre più lontane, sempre meno forti e potenti. Questa è una terra che nel 1985 ha visto due uomini scrivere con pazienza, con serietà, con spirito di abnegazione e con un grandissimo senso dello Stato un rinvio a giudizio per quello che sarebbe diventato il primo vero grande processo alla mafia siciliana. Quegli uomini scrissero quelle pagine davanti ad un mare intenso, un silenzio assordante che si mischiava tra quello dell’isola Asinara e quello di uno stato ancora con la esse minuscola. Tutto, in qualche maniera nasce da queste parti, davanti al mare di Cala d’Oliva, all’Asinara, dove i giudici Falcone e Borsellino arrivarono quasi come deportati e dopo qualche mese ripartirono, lasciando un ricordo indelebile per chi in quei giorni visse con loro quella strana avventura che sarebbe diventata storia di questo paese.

E ritornano gli strani ricordi (avevo 26 anni) intorno al paesello di Cala d’Oliva: gli uomini con il mitra, la pilotina davanti alla foresteria nuova, le luci del porto sempre accese, la ronda notturna e quel bar chiuso mentre ero rimasto senza sigarette. Ritornano come fantasmi quelle figure forti e rocciose sedute sulla panchina a fumare e ritorna come un frastuono immenso quello sguardo interrogativo di Giovanni Falcone che capisce di avere davanti qualcuno che aveva finito le sigarette: “Ne vuole una?”, mi chiese porgendomi il pacchetto. Non fumo più da molti anni ma il ricordo di quella sigaretta ancora ritorna come un simbolo forte, sincero: avevo fumato dallo stesso pacchetto di chi vedeva e viveva lo Stato con la esse maiuscola. Ecco perché quest’isola può dire di aver dato un piccolo contributo alla lotta alla mafia e a rimettere le maiuscole dove servivano. Ecco perché chi ha conosciuto Falcone e Borsellino scriverà la parola Stato sempre con la esse maiuscola. Non ci servono eroi ma simboli, come quei giudici: giusti e maiuscoli.