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«Neanche allora rispettò le regole del gioco» La Nuova Sardegna 27 novembre 2003

L’evasione di Boe e Duras è una ferita non ancora ricomposta. E’, per così dire, l’affronto più grande mai fatto al carcere dell’Asinara. L’evasione, il primo settembre del 1986 diventa materialmente possibile. Per la prima e unica volta, due detenuti riescono dove tanti avevano tentato, dove molti avevano osato e quasi tutti avevano pensato. Forse, dopo l’evasione di Boe e Duras si scoprì che il re era nudo, che l’Asinara insomma, non era il carcere più sicuro d’Italia. Forse il calo di tensione in atto in quegli anni aveva allentato l’attenzione da parte della custodia e forse, l’attesa della Legge Gozzini data per imminente, – tanto che fu approvata il mese successivo,- mandava in soffitto la classica evasione; tutti pensavano infatti che sarebbe stato più facile evadere dal permesso premio. Forse. Ci sono però degli elementi che portano a scardinare la leggendaria figura dei due evasi. Boe e Duras poterono fuggire perché, in qualche maniera, erano “liberi”. Fossero evasi da Fornelli, oltre allo smacco per la custodia, sarebbero diventati probabilmente i protagonisti assoluti delle evasioni. Ma non fu così. Un altro elemento determinante nella fuga dei due detenuti è stata la complicità della compagna di Boe, un’evasione studiata in qualche maniera a tavolino durante i colloqui. E comunque densa di una buona dose di fortuna. Un ulteriore elemento è legato al gioco dei nomi: avessero scelto Punta Sabina o Sant’Andrea per fuggire, sarebbero stati ripresi quasi subito. Ma questo è un elemento che Boe e Duras non conoscevano o meglio, per come si sono evolute le cose, si è trattato di un semplice caso. Così, fuggire da Cala Tappo di fuori ha permesso un facile allontanamento perché, quando si riesce a dare l’allarme alle motovedette si comunica che un gommone era stato avvistato a Cala Tappo; le vedette lo raggiunsero quasi subito nella Cala Tappo che dava sul versante verso la Sardegna: Cala Tappo di dentro e non quella che si affaccia verso il mare della Corsica: Cala tappo di fuori. Oltre al danno la beffa. O meglio, una serie di concomitanze che si intrecciano e che vanno oltre la volontà del piano di evasione predisposte da Boe e da Duras. A Cala tappo di dentro le vedette bloccano effettivamente un canotto con a bordo tre persone e senza documenti. Vittoria si pensa. Anche stavolta l’Asinara ha dettato la sua legge: qui è impossibile evadere. Si scopre poi che il canotto dei fermati conteneva invece tre innocenti vigili del fuoco che effettuavano delle esercitazioni preventivamente autorizzate. Primo sussulto al cuore. Questo episodio fa pensare e dire a tutti che, con quasi matematica certezza, i due fuggiaschi sono in realtà ancora sull’isola, nascosti in qualche anfratto. Cominciano dunque le solite spasmodiche ricerche, quelle legate all’orgoglio e al rispetto che si ha e si deve avere per tutte le evasioni: perché fanno parte delle regole del gioco. Tranne questa. L’evasione è un duello: ma un duello leale. Questo non lo era stato. Li cercarono per una settimana. Non c’erano. Dentro questo ventre di grotte, di possibili nascondigli non c’erano. Non c’erano mai stati. Solo allora si scoprì il perché, solo allora si colse quel qualcosa che ci sfuggiva. Le regole del gioco. Il duello. Non era stato leale. Boe e Duras per evadere avevano prima malmenato e poi legato un agente dandosi precipitosamente alla fuga. Ecco l’anello mancante. Le regole del gioco. Infrangendole Boe e Duras erano riusciti a fuggire. Duras venne ripreso nel dicembre dello stesso anno, la notte di Capodanno precisamente, vicino a Cagliari. Venne ripreso perché un poliziotto, sentendo sparare i botti per l’anno nuovo, udì un rumore inconfondibile che gli ricordava un mitra. Il carabiniere telefonò ai suoi colleghi e Duras venne riarrestato. Boe giocò invece a costruirsi il mito. Partecipò al sequestro di Farouk Kassam, si fece fotografare con gambali e fucile, quand’era latitante, in posa da divo, da uno che non conosce le regole del gioco. Lo ripresero in Corsica, a Sartene, grazie agli investigatori che seguivano con circospezione la sua compagna. Non tornarono all’Asinara. Boe è ancora in carcere e deve scontare una lunga pena. Ha sempre la faccia dura e acerba, sfrontata. Ma sa, lo sa dentro, che la sua evasione seppure ricordata, seppure ritenuta eclatante, è una evasione piccola di uno che non ha saputo giocare.