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Morire di carcere (La Nuova Sardegna, 14 agosto 2023)

Morire di carcere (La Nuova Sardegna, 14 agosto 2023)

In carcere si muore e si muore di carcere. I suicidi di due donne detenute rappresentano un momento terribile, un punto di non ritorno per chi dovrebbe amministrare la giustizia una volte che le sentenze sono divenute definitive. Quelle vite spezzate hanno camminato nei fili sottili dell’indifferenza, delle parole vuote e scontate. Così, alla vigilia di Ferragosto, come quasi ogni anno, il problema del carcere diventa argomento di prima pagina per qualche giorno per poi lentamente scomparire. Diceva un vecchio adagio: “i detenuti non votano”, ma sono il prodotto di scelte politiche e di strategie sociali che determinano e definiscono le diseguaglianze e le disparità. Così, quando a cavallo di Ferragosto giunge la notizia di due donne suicide,  si scopre l’atrocità del carcere. Tutti i ministri della Giustizia hanno sempre ribadito, evidenziato, sottolineato che lo Stato non abbandona nessuno, che un suicidio in carcere è una doppia sconfitta, è un dolore che avvolge le corde della nostra sensibilità. I radicali, da anni, invitano i parlamentari a far visita ai carcerati il giorno di Ferragosto ed alcuni, come in una passerella macabra all’insegna dell’io ci sono andato,  si presentano docili e disponibili. Parlano con qualcuno e poi ritornano alla loro quotidianità. Del carcere non ne parleranno più. Sino al prossimo suicidio, sino alla prossima rivolta, sino al prossimo pestaggio. Subito ci si focalizza sul numero dei detenuti e sulla capienza dei nostri istituti: in carcere ci sono 57.749 detenuti (2510 donne) a fronte di una capienza regolamentare di 51.285 posti letto. A spanna, ci sono circa 6.000 persone in più, un po’ come un albergo in over booking con grosse difficoltà a sistemare e occuparsi delle necessità di queste persone più ultime degli ultimi. Così, a Ferragosto,  nascono le soluzioni tra le più disparate e futuribili che non saranno mai realizzate. Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio, durante la visita al carcere di Torino ha dichiarato che costruire un carcere nuovo: “è costosissimo, oltre che impossibile sotto il profilo temporale. Con cifre molto inferiori possiamo riadattare beni demaniali in mano al Ministero della Difesa compatibili con l’utilizzazione carceraria”. La soluzione non è nuova. Se ne parlava durante l’emergenza sovraffollamento del 2010/2011, quando sull’Italia pendeva una condanna della Corte Europea e  l’utilizzo delle caserme dismesse pareva la strada giusta da percorrere per sistemare i detenuti meno pericolosi; poi il dibattito scemò e dalle stanze ministeriali scomparì del tutto, così come quello terribile e pericoloso di utilizzare delle navi da tenere al largo come galere galleggianti.

Così, alla vigilia di Ferragosto, si rimette sul piatto delle possibilità quello di ripartire dalle caserme vuote che non risolve nessun problema e serve soltanto per continuare a non volersi occupare seriamente di carcere. E’ da anni che si chiede un’attenzione diversa alle misure alternative alla detenzione, una visione meno carcerocentrica della giustizia ma, a fronte del sovraffollamento, al vivere in pochissimi metri senza aria e senza prospettiva, le uniche soluzioni che si prospettano sono sempre legate al “carcere” inteso come perimetro di chiusura e isolamento. Il rischio è quello di utilizzare le caserme, magari proprio in Sardegna, aumentare il numero degli istituti e, paradossalmente,  amplificare i problemi. Le caserme non sono la via dell’alternativa al carcere proprio perché finirebbero per risultare una copia – peraltro pessima – di un penitenziario che dovrebbe, invece, tendere alla rieducazione del condannato. Una delle soluzioni, anche questa auspicata da anni,  è il rilancio delle tre colonie agricole presenti in Sardegna dove, praticamente, ci sono molti posti liberi. Manca il coraggio politico di un’azione seria, improntata sul lavoro e sulle opportunità. I detenuti non votano, è vero. Ma hanno la necessità di costruirsi un futuro fuori dal carcere e dalle caserme. Fuori dagli steccati ideologici.