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mica è solo paura di volare (La nuova Sardegna, 13 aprile 2017)

mica è solo paura di volare (La nuova Sardegna, 13 aprile 2017)

La paura è uno stato emotivo, un raccoglitore di emozioni  forti, una raccolta di immagini e sensazioni. La paura è un confine sottile tra la curiosità e il vuoto.
E’ il nero che rifuggiamo ma che ci piacerebbe scoprire. E’ come viaggiare perennemente sulle montagne russe.
Ho provato, per la prima volta, a sbirciare nel profilo Facebook di un morto. Ho capito la crudeltà dei social è cinica e fredda. Patrizia Formica aveva postato delle foto e un video con il suo compagno che l’ha barbaramente uccisa.
Ho provato rabbia a guardare quel volto che sorrideva che provava a raccontarci la sua storia quotidiana perché questo è in fondo Facebook: una miriade di tasselli che si incontrano e si scompongono quotidianamente.
Ho provato paura davanti alla ragazza trovata morta all’interno della valigia. Una storia sconvolgente di solitudine e morte.
Ho provato terrore per lo stalliere torturato per aver denunciato crudeltà sui cavalli, ho provato sgomento per la figlia del mafioso che aveva appena 24 anni e si era laureata ma non è riuscita a spostare nessun macigno davanti ad una strada che non era la sua e si è suicidata.
A 24 anni.
Questa è la paura.
Tutto questo accade nel nostro paese e accade a persone che sono nella maggioranza italiana e che vengono uccise, torturate, derise, dimenticate da altri italiani.
E’ come un libro di Stephen King dove tutto pensi possa accadere nelle periferie delle città statunitensi, dove credi che tutto quello che leggi sia solo un racconto macabro. Ed invece la paura ti appare e ti avvolge, ti recluta e ti restringe la vita.
Ormai abbiamo paura di tutto. Di quelli che possono entrare a casa tua e ti armi e spari perché la roba è più importante della vita.
Paura di sedersi vicino ad uno straniero su un autobus o su un treno perché non si sa mai. Paura di attraversare le strisce perché qualche ubriaco rumeno c’è sempre sulle strade di questo paese frequentato solo da italiani astemi. Paura delle banche, di quelli che ti clonano il conto, la carta di credito, di chi ti saluta distrattamente e di quelli che ti salutano troppo caldamente.
Paura di attendere davanti alla stazione, paura di prendere un taxi o di passare davanti a qualche ambasciata soprattutto se americana.
Paura di un’automobile ferma con il motore acceso – non si sa mai – di quello che ti osserva e ti sorride, di quello che ti osserva e non parla, di quello che ti osserva e passa leggero, quasi a non voler lasciare tracce. Abbiamo paura di chi c’è per strada oppure di chi non c’è: ci facciamo prendere dallo sgomento quando siamo in troppi e dal terrore quando siamo troppo pochi.
Paura dei politici, dei loro giochi, delle loro alchimie, dei loro modi falsamente  suadenti di raccontarci le storie.
Paura di leggere un libro perché ci può non piacere, paura di stringere la mano perché non si sa mai. Ormai abbiamo ritagliato il nostro perimetro vitale, abbiamo rimpicciolito il recinto sociale. Non usciamo per paura di incontrare e di incontraci, per il terrore di scontrarci.
Costruiamo le nostre vite dentro le pagine dei social, postiamo foto, ricordi, parole. Scriviamo di cani, gatti, raccogliamo e regaliamo emozioni solo virtuali. Guardiamo tutto dall’alto, siamo come droni lontani che si avvicinano, ma non più di tanto, a quella che è la vita reale.
Ho sentito ragazzi litigare per un like non dato, per un video non condiviso, per una foto non taggata. E ho avuto paura.
Paura vera, sincera.
Sono uscito a guardare il mare che, come sempre, riesce a raccogliere le orme della mia anima.
Ho toccato quell’acqua, quella sabbia. Era vera. E non ho avuto, davanti all’azzurro che è  vita, nessuna paura.