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Libertà in anticipo.

Libertà in anticipo.

La proposta Giachetti, ovvero l’abbuono di liberazione anticipata per i detenuti che hanno mantenuto una regolare condotta,  è un emendamento che il Governo intende accogliere.
E’ senz’altro una buona notizia e la proposta è utile  per alleggerire gli istituti penitenziari di quei detenuti che con lo sconto sulla pena saranno subito scarcerati. Si parla  – facendo i conti – di un target di detenuti, ovviamente definitivi, che abbiano un residuo pena inferiore, nel massimo, a due anni. Risolverà il problema del sovraffollamento e dei suicidi? Personalmente non credo anche perché ci sono diversi paletti da considerare. Alcuni del governo: nessuno sconto a chi ha mantenuto una condotta irregolare o abbia aggredito gli agenti di polizia penitenziaria,  anche se i giudici di sorveglianza, lette le varie relazioni comportamentali della direzione,  tendono a derubricare alcuni episodi e tener conto anche di quanto deciso nei consigli di disciplina. In ogni caso: nessuna concessione a detenuti sottoposti al regime di alta sicurezza e quindi, anche quelli attualmente in regime di articolo 41 bis e questo oltre che giusto  pareva oltretutto ovvio.
Perché, allora, lo sconto di pena non potrà risolvere del tutto i problemi strutturali? Perché a usufruire della libertà saranno in pochi e la maggioranza di questi, nonostante possa fruire di una misura alternativa alla detenzione, in quanto sotto i quattro anni di pena, rimangono in carcere perché nessuno si occupa di loro. E nessuno, probabilmente lo farà anche subito dopo la liberazione. Non avendo pianificato un processo di reinserimento quei detenuti finiranno per rientrare quasi subito nel circuito penitenziario.
Si poteva “osare” cercando di obbligare la comunità ad occuparsi di quei detenuti che, ben comportandosi, avrebbero potuto  lavorare all’esterno (sono circa 5.000) ma questa scelta non è pensabile per un governo che vede il carcere come prima e non “ultima ratio”.
La prova va ricercata, per esempio, negli  ultimi provvedimenti sui minori (il famoso decreto Caivano) che ha portato ad un  aumento oggettivo dei detenuti negli istituti minorili sperando che il carcere possa essere un “deterrente” per chi ancora non ha compiuto la maggiore età ma i risultati, ovviamente, non vanno verso quella scelta avventata e poco ponderata.
Che fare dunque? Accettare la proposta Giachetti come punto di partenza e non di arrivo e provare a convincere il governo (e molti benpensanti) che il problema delle carceri riguarda tutta la comunità e dovremmo cominciare a discutere di “pene” (anche alternative) e non solo di carcere. Lo dice, guarda caso, l’articolo 27 della costituzione. Ce la faremo? Chissà.