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Le stelle oltre le sbarre (La Nuova Sardegna 16 gennaio 2019)

Le stelle oltre le sbarre (La Nuova Sardegna 16 gennaio 2019)

Mi colpirono, quando nel 2012 per lavoro visitai alcune carceri inglesi, alcune differenze rispetto a quelle italiane: In Gran Bretagna le camere detentive sono quasi sempre singole, i detenuti non possono detenere molti oggetti nella propria cella e per quanto riguarda il lavoro c’è un’organizzazione sostanzialmente diversa dalla nostra, in quanto le commesse esterne sono ricercate dagli stessi direttori per il finanziamento dell’Istituto penitenziario. Per il resto le carceri, nel mondo, si somigliano quasi tutte e il loro minimo comune multiplo è rappresentato dal luogo: per lo più angusto, tetro, dispensatore di pochi sorrisi, intriso di rumori metallici dovuti all’uso delle grandi chiavi e il fragore del blindo che sbatte sulle sbarre.
Ecco, in Gran Bretagna è stato deciso di eliminare le sbarre e di sostituirle con dei vetri rinforzati ed infrangibili e, a quanto pare, molto più sicuri delle classiche sbarre che hanno fatto da scenografia nelle carceri di tutto il mondo. La decisione, epocale, ha un risvolto sociologico non di poco conto. E’, infatti, il risultato di uno studio commissionato dal governo britannico e che ha prodotto dei risultati molto interessanti. Oltre le sbarre, il dipartimento di criminologia dell’università di Bath, ha suggerito di eliminare alcuni termini di uso comune  come detenuti e celle sostituendoli con uomini e stanze per favorire il processo di autostima dei reclusi e il loro reintegro sociale. Il Professor Jewkes, titolare della ricerca, ha evidenziato che “trattare i detenuti con fiducia, rispetto e dignità li incoraggia ad investire nel loro futuro a progettare il domani”. Le sue teorie sono state messe in pratica nella prigione di Berwyn, la più grande dell’Inghilterra che a regime ospiterà oltre 2000 persone a basso rischio di pericolosità.
Nei prossimi anni nel Regno unito spariranno le sbarre e alcuni modi di dire e di etichettare cose e persone. E in Italia? L’idea del carcere come istituto di reclusione  è ancora legata a vecchi sistemi e quando si decide di costruirne uno nuovo si pensa quasi esclusivamente alla sicurezza per poi, in corso d’opera e quando è aperto,  procedere a delle modifiche strutturali. Sarebbe utile, invece, rovesciare  completamente la visione delle cose e prevedere, per esempio, istituti a bassa, media e alta pericolosità  dedicati ai detenuti che attualmente sono ospitati nelle carceri italiane. In realtà in Italia la parola “cella” non è mai menzionata nell’ordinamento penitenziario che chiama le camere “locali di pernottamento”. E’ invece rimasta la parola detenuto anche per catalogare il minore che è recluso in un istituto penitenziario.
Si sta pensando alla costruzione di nuove carceri e l’idea che queste possano essere concepite come le ultime costruite in Sardegna è assolutamente sbagliata in quanto molto lontano dal concetto di pena che non deve e non può  essere solo “afflizione”. Sarebbe quantomeno auspicabile – e il Ministro Bonafede potrebbe rifletterci –  che si ripensasse al carcere non come semplice e inutile non luogo dove ammassare uomini che, seppur colpevoli, hanno il diritto di riscattarsi, ma anche come luogo dove  tutti, operatori compresi, possano trascorrere la loro giornata con una buona dose di serenità che, soprattutto in certi luoghi,  aiuta moltissimo. Non servono troppe commissioni per rivedere la formula architettonica del carcere. Basta ritornare ad alcuni semplici principi che sono sempre validi: semplicità, armonia, colore. Le sbarre, con i nuovi sistemi di videosorveglianza possono davvero essere sostituite da dei vetri infrangibili. Si può effettuare  un tentativo in piccoli istituti dove inserire detenuti a bassissimo indice di pericolosità o che fruiscano, per esempio, di permessi premio. Un giorno, un detenuto trasferito nel penitenziario di Isili si guardò intorno e disse: ma questo è un carcere a colori. Ecco: stanze senza sbarre con vista sulle stelle. Perché sognare un radicale cambiamento si può. Anche in carcere.

 

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