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L’Asinara, viaggio nell’isola dei dimenticati

Da Il Corriere della Sera del 2 settembre 2003

 


di Luca Orsenigo

L’attacco: “Sono arrivato sull’isola nel 1965, in un giorno di maggio. Avevo 23 anni e un piccolo cassetto di ricordi legato, soprattutto, alla mia infanzia e alla mia precoce adolescenza. Sono un prodotto del dopoguerra e in quei tempi, dentro la nostra Sardegna c’erano poche scelte: restare a raccogliere speranze o tentare di andare via: una partenza che non doveva essere un tradimento, una partenza che doveva ricondurci dentro questa terra. (…) Avere dentro il fuoco, quello che si vive a venticinque anni, che si raccoglie negli sguardi e nei profumi, che si mischia nei pensieri, che si contorce nella branda di una caserma angusta, dimenticata e da dimenticare, dentro un’isola che è una prigione e dalla quale, nel 1965 si poteva ottenere una licenza ogni tre mesi, era una condanna non contemplata.”

Il tema: Già la parola supercarcere è di per sé un’enormità e qui, in questo romanzo nato dalle parole di Lorenzo Spanu, agente di custodia, ma tradotto sulla carta da Giampaolo Cassitta, educatore all’Asinara dall’85 al ’98, tutto è enorme ed eccezionale. A prima vista almeno. Poi la vita vissuta su quell’isola dimenticata si fa a tratti dolce e generosa e l’abnorme che contiene tanto umano, da lasciar affiorare emozioni e pensieri ritenuti, a primo acchito, del tutto banditi da quel mondo irreale, “un’isola acquario, dove il carcere sembrava solo un contorno.” Vi si raccontano vicende tutto sommato normali se non fosse che si svolgono appunto in un ambiente che normale non lo è affatto. Lì uomini che panificano o tagliano i capelli, pur da carcerati, cercano di sfuggire alla stessa condanna che li accomuna ai carcerieri: camminare “sempre con gli occhi dentro i pensieri”; lì, solo le Brigate Rosse sono riuscite a portare un’inquietudine cattiva, perché loro “non parlavano, non dialogavano, dettavano esclusivamente i loro proclami. Non chiedevano e pretendevano con le minacce”, mentre per gli altri, gli agenti di custodia, ” non c’erano pensieri per i figli, per la moglie, per gli amici, non c’erano momenti di pausa, non avevamo occhi se non per i loro occhi…” Il carcere è stato chiuso nel 1998. Ora è un parco nazionale.

Perché leggerlo: Ce lo dice lo stesso Cassitta: “Perché è un libro della memoria e la memoria è sempre più importante di questi tempi; perché parla di un’isola ancora sconosciuta a molti italiani e perché infine vi si racconta di uomini che non sono eroi, ma hanno comunque scritto una piccola pagina di storia.”