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La sospensione degli attimi.

La sospensione degli attimi.

E’ difficile raccontare le tragedie, provare a osservare gli occhi lacerati di chi, in un attimo, ha commesso un omicidio.
Con le proprie mani.
E’ difficile riuscire a sovrapporre le parole al sangue e allo sgomento di chi ha colpito e poi colpito e poi ha urlato e ha evirato le anime di tre bambine.
Con le proprie mani.
Mani di una madre.
Mani che sino al giorno prima avevano pettinato i capelli e preparato la colazione e lavato i piatti e rimboccato le coperte e avevano accompagnato le proprie figlie a scuola, tenendole per mano.
Edlira Dobrushi, la madre di trentasette anni di origine albanese che ai carabinieri di Lecco ha confessato di aver ucciso tre figlie, tre bambine, aveva mani sporche di sangue.
Sangue del suo ventre.
Sangue di Simona, Casey e della piccola Sindey.
E’ difficile mettersi alla finestra di questa immane tragedia, di questo sacrificio assurdo, inconcepibile. Sono i rumori del silenzio che, a volte, non sentiamo. Perché per noi i nostri vicini sono tutti “normali”. A meno che non urlino o litigano o i figli sono maleducati o sono divorziati.
Quando le parole non ci sono, quando non sentiamo il rumore, non riusciamo mai a soppesare il peso degli sguardi, non riusciamo a codificare quello che gli occhi raccontano, quale vita sbiadita si nasconde dietro le loro esistenze. Ed è la fragilità, la paura di non farcela, la vergogna, l’essere additati come diversi, che fanno stringere quelle mani sino a farle diventare pugni difficili da sciogliere. E’ la nostra velocità nel continuare, nel non doversi mai fermare e riflettere che ci porta poi a porci le domande e chiederci il perché.
E non sapere le risposte.
Tutto l’orrore dietro quelle mani che hanno lacerato, inseguito e ucciso. Mani sottili, adatte a raccogliere piccoli oggetti da accarezzare. Mani rapprese e stanche, accovacciate nel ventre malato, mani una volta calde che sapevano accarezzare e circoscrivere le sensazioni. Quelle mani hanno agito, hanno colpito e ucciso e poi si sono guardate. Mani atrofizzate dalla realtà che le ha divorate.
Adesso è scaduto il tempo. Mani ferme e nervose che non riescono a spiegare e occhi senza luce e senza orizzonte a stagliare il baratro che si ritrovano davanti.
Ho sentito negli anni i racconti di molti uomini che, con le loro mani, avevano ucciso. Per rabbia, per vendetta, per la ricerca di una libertà, per una sciocchezza. Mani sempre lente a stringere altre mani, sempre molto poco disponibili a spiegare.
Ho ascoltato.
Ho provato a capire i gesti, gli attimi che portano quella mano ad agire, l’impulso razionale che muove quelle dita, quei muscoli. Ma non ci sono riuscito. Perché non sono le mani a dettare i sospiri della vita.
Dobbiamo ripartire dalle storie e provare a miscelarle con gli eventi. Quante parole non dette nella vita di Edlira, quante cose che qualcuno adesso racconterà nelle tante “vite in diretta” di questo mondo acquario. Tutti a guardare quelle mani e a piangere per il gesto. Ci sarà il criminologo, lo psicologo, il vicino di casa, l’amica del quartiere. Parole che servono, in fondo, per riempire il vuoto delle nostre coscienze.
Edlira, da oggi, sarà sola a contemplare le sue mani e a ripetere per milioni di volte tutti i gesti.
E’ difficile raccontare le tragedie soprattutto quando queste superano – e di gran lunga – le trame dei romanzi. Perché anche gli scrittori, come tutti, sono abituati a far muovere i loro personaggi in un mondo semplice, dove tutti parlano e discutono e comprendono.
Nei romanzi non ci sono mai spazi vuoti. Chi scrive non se lo può permettere. Eppure, davanti a questa storia che ci centrifuga l’anima, dovremmo lasciare una pagina bianca a rimarcare la sospensione degli attimi.
Sono morte tre bambine. Ed è morta anche Edlira, scaraventata in un nuovo inferno dove non riuscirà a rianimare i propri desideri e le paure e il terrore che l’ha accompagnata ad utilizzare quelle mani per stringere una lama.
Fredda e terrificante.
Quelle mani, nella segretezza degli eventi, hanno colpito tutti, perché nessuno, ormai, riesce più a leggere i silenzi nel pentagramma della vita.
Edlira Dobrushi Copa, l’albanese di 38 anni che nel marzo 2014 uccise a coltellate le sue tre figlie di 13, 10 e 3 anni a Lecco, è stata assolta dal gup per vizio totale di mente.
È stata però applicata  nei suoi confronti la misura di sicurezza di dieci anni in una struttura psichiatrico-giudiziaria.