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La rabbia degli invisibili (La Nuova Sardegna, 11 marzo 2020)

La rabbia degli invisibili (La Nuova Sardegna, 11 marzo 2020)

Gli invisibili si sono presentati e hanno urlato tutta la rabbia repressa. La paura di chi non può permettersi di non aver paura, di non poter comprendere tutto ciò che sta accadendo fuori, un fuori che sta diventando quasi come un dentro. La paura che ha scavalcato le sbarre, ha divelto quelle piccole sicurezze che ci sono dentro la quotidianità di una cella. Basta poco per tramutare la paura in rabbia, basta poco per urlare contro il cielo una montagna di promesse non mantenute, di leggi scritte e riviste, cancellate e riscritte. Il carcere  è la cartina di tornasole del paese, del nostro paese: livido, cinico quanto basta, melodrammatico quando occorre, piagnone e forte, dolce e amaro. Dimenticato, soprattutto dimenticato. Con promesse mai attuate, con una legge che dal 1975 ad oggi ha visto decine di rivisitazioni, di articoli che son diventati bis, ter, quater; una carambola di parole che si sono scontrate nell’incomprensione e nell’incomunicabilità e nell’indifferenza di tutti. Chi ci lavora in carcere lo dice da sempre: occorre saper programmare, pianificare, occorre utilizzare bene gli strumenti e non servono le promesse che tutti più o meno hanno gettato sul cortile dei penitenziari: dall’indulto che senza futuro non serve a niente, alla liberazione anticipata incondizionata per tutti, all’affidamento in prova senza alcuna possibilità reale di reinserimento, ad un lavoro inutile, a una poca disponibilità a scommettere davvero su questi invisibili gestiti, purtroppo,  da poliziotti e operatori sociali invisibili anch’essi. E stanchi. Riforme, contro riforme, aperture e chiusure, concessioni e marce indietro ma nessuno si è occupato del pianeta carcere. Si è preferito costruire istituti fuori dalla città, nelle langhe isolate, quasi a voler accentuare quella lontananza con il tessuto sociale, quasi a voler dire, anche se a voce bassa: “tutto questo non ci interessa”. Ma ci appartiene. Eccome. Per anni la polizia penitenziaria e gli operatori hanno provato ad accendere delle piccole luci su quelle celle, su quei lunghissimi corridoi, su quelle sezioni di un silenzio angosciante, su quel modo di gestire uomini che non aveva molto senso. Per anni si è detto che il modello penitenziario così come era divenuto non poteva reggere. Per anni è stato chiesto un gancio con la realtà, con la possibilità di accettare ed essere accettati, con la possibilità di discutere di quel male, di quei cattivi, che poi così cattivi non lo erano per davvero. E non lo erano con la stessa intensità. Ecco quel che è accaduto. E’ bastato dire che non ci saranno più colloqui, è bastato che si eliminasse quel piccolo cordone ombelicale con i familiari, con il mondo esterno, che tutto è saltato. Perché la paura e l’incertezza accompagna la rabbia e raccoglie il terrore. Lo stato di abbandono, la consapevolezza di essere ultimi ha trasportato a gesti inconsulti, inutili, stupidi, autolesionistici. E adesso chi glielo dice a quelli che per anni hanno combattuto a favore di un carcere più umano, diverso, più attento? Chi glielo dice a tutti quelli che avevano scommesso sugli uomini? Dobbiamo ricominciare con un nuovo spartito, dobbiamo ripartire da ciò ce la paura ha prodotto e distrutto; dobbiamo sederci un attimo e provare a dire: da dove è partito tutto questo? Possibile che sia stato l’effetto “corona virus” a far saltare il tappo? Nel momenti in cui si blindava il paese chi viveva blindato alzava la voce, distruggeva tutto, mandava all’aria tutti i progetti che erano stati costruiti intorno. Non è possibile. Non può essere solo il semplice male di vivere nei giorni del corona virus. Gli invisibili quando si illuminano da soli esprimono luce abbagliante che può far male. Spetta a chi ha deciso quel buio perenne, a chi ha architettato il carcere “altrove”, senza alcuna speranza, senza nessuna possibilità,  spetta a chi ha disegnato questo silenzio assordante trovare le risposte. Non ho mai avuto paura del carcere ma di chi ha visto quel luogo come “carcere” e come “fine pena mai”. Passerà il corona virus e si sconteranno le pene. Non bastano semplici mascherine per dimenticare gli uomini. Anche i più cattivi.

 

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