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Intervista su “la zona grigia” di Alessia Mocci.

Giampaolo Cassitta nasce ad Oristano nel 1959. Sin dall’infanzia si nota una buona predisposizione per la letteratura, per la pittura e per la musica. Giampaolo a fasi alterne cercherà di comunicare attraverso le sue doti. Nel 1980 la pubblicazione della sua prima silloge di poesia “Fogli di quaderno” insieme a Marisa castellini.
Segue nel 2001 “Asinara, il rumore del silenzio” edito da Cadelli Frilli Editori; nel 2002 pubblica “Supercarcere Asinara” con Lorenzo Spanu, edito dalla stessa casa editrice.
Nel 2005 abbiamo “La zona grigia, storia di un sequestro di persona”, edito dalla casa editrice Condaghes,  che arriva alla seconda ristampa nel 2011 con una notevole richiesta e delle novità riguardanti l’inserimento di una quarantina di pagine rispetto alla prima edizione. Di ultima pubblicazione è “Il giorno di Moro”.
Giampaolo Cassitta è stato veramente gentile nel rispondere alle nostre domande e nel porre delle riflessioni del passato che tuttavia si presentano attuali ancor’oggi.
 

A.M.: Quando hai iniziato la tua carriera da scrittore e perché?

Giampaolo Cassitta: La carriera di scrittore non si comincia, ovvero non esiste un giorno o un anno preciso ne’ – credo almeno – ci si possa fregiare dell’aggettivo a proprio piacimento. Ho sempre amato scrivere, il giorno più bello, a scuola, era per me quello dove si doveva comporre il famoso tema di italiano. Amavo raccontare, inventare, creare, tanto che la mia professoressa ed i miei compagni di classe “attendevano” il mio tema. Poi, crescendo ho cominciato a scrivere racconti. Èstata l’Asinara e il mio mestiere a decidere che era giunto il momento per scrivere un vero e proprio romanzo. Dalla mia esperienza di educatore nasce, appunto, “Il rumore del silenzio”, un romanzo d’esordio che rimane il mio primo amore.

A.M.: Qual è la pubblicazione che ti ha dato maggiori soddisfazioni sino ad oggi?

Giampaolo Cassitta: Potrei rispondere che e’ sempre l’ultima ed e’ per ceti versi così. “Il giorno di Moro”, il mio ultimo romanzo è, in realtà, il mio primo vero romanzo, nel senso che i due libri sul’Asinara erano forse un banco di prova e “La zona grigia” era sopratutto un romanzo alla ricerca di una verità dentro un processo vero. “Il giorno di Moro” invece era ed è il controcanto ad una generazione, la mia, quella che aveva vent’anni circa all’epoca del sequestro di Aldo Moro e che è rimasta segnata dall’ideologia imperante in quel periodo. Nel bene e nel male. Scrivere quel romanzo, quel noir, quel gioco su una verità che forse non esiste mi ha, per certi versi entusiasmato e le soddisfazioni sono date da chi ha letto il libro, dalle loro lettere o dal fatto che nelle presentazioni che ho fatto in giro per l’Italia molti mi hanno confessato di essersi ritrovati totalmente nella figura di Claudio Marceddu ed in quei terribili anni.

A.M.: “La zona grigia, cronaca di un sequestro di persona” è alla sua seconda edizione anche se l’argomento è “scomodo”. Pensi ci sia un interesse crescente da parte dei lettori?

Giampaolo Cassitta: La zona grigia” è stata, almeno inizialmente, una scommessa. Mi hanno sempre incuriosito le storie di vita dei detenuti e dopo i due libri sull’Asinara mi volevo occupare di qualcosa di “reale”. Conobbi, sull’isola Agostino Mallocci, che lavorava come pastore, condannato per un sequestro di persona, quello di Bussi, avvenuto nel 1978. Avevo già idea di scrivere un libro su quegli anni che sarebbe diventato “Il giorno di Moro”, e quindi rimasi sconcertato da alcune analogie, dal fatto, soprattutto, che ad essere sequestrato fosse un ingegnere della Ferrari che, se accadesse oggi, avrebbe un impatto mediatico che in quegli anni invece non ebbe. Son finito in biblioteca a leggere gli annali della Nuova Sardegna ed Unione Sarda, mi sono letto quattromila pagine di sentenze, ho sentito molte persone e mi sono convinto che la verità aveva molte strade e che tutti percorrevano quella più personalistica, quella che conveniva. Mallocci e Carcangiu erano sicuramente innocenti, immolati dentro un maxi processo con maxi distrazioni che non era stato allestito per la ricerca della verità o di giustizia, ma era, piuttosto, un atto di forza di una Giustizia che, in quel periodo non riusciva a dare molte risposte, se non quelle di mostrare i muscoli. Dietro questo strano modo di fare giustizia, dentro quel cono d’ombra, dentro quella zona grigia, si muoveva un uomo, un giudice: Luigi Lombardini.

 

A.M.: Che cosa tratta esattamente “La zona grigia, cronaca di un sequestro di persona”?

Giampaolo Cassitta: “La zona grigia” è il racconto di un sequestro di persona, ma non solo, è il racconto di un certo modo di fare – meglio, di non fare – giustizia. È la storia di una grandissima tragedia, la scomparsa di un uomo, Giancarlo Bussi, che non ha mai fatto rientro a casa e nessuno, ancora oggi, sa dove sono sepolte le sue ossa. È la storia di certi investigatori che non investigavano, ma partivano da alcune considerazion e speravano che qualcuno parlasse. È la storia di una carcerazione preventiva abnorme, al limite della tortura, è la storia, soprattutto, di due persone sicuramente innocenti che si trovano nel posto sbagliato e nel momento sbagliato. La prima edizione, del 2005 ripercorre la storia, come in un romanzo, di Agostino Mallocci, della sua odissea giuridica fino alla sua liberazione. Ma non sapeva che dopo soli due anni di libertà sarebbe morto a seguito di un tumore. Ho incontrato la figlia che mi ha raccontato gli ultimi due anni e la storia, bellissima e atroce, di una bambina che ha avuto una vita segnata dagli eventi e ho incontrato, finalmente, anche Egidio Carcangiu, altro colpevole innocente. Si trovava a Sadali, la sua città di sempre ed anche lui mi ha raccontato la sua storia. Il libro era esaurito da tempo e molti lo richiedevano. L.’editore mi ha proposto una riedizione ed io ho aggiunto una quarantina di pagine, un epilogo triste dentro una storia sbagliata. In questa edizione, quindi, ci sono due interviste che spiegano da un altro punto di vista, una nuova verità.

A.M.: Qual è la tua teoria sul sequestro del 1978?

Giampaolo Cassitta: Il sequestro dell’ingegnere Bussi fu anomalo dall’inizio. Lui, in realtà, quel giorno non doveva essere neppure in Sardegna. Vi rimase perché c’era lo sciopero dei traghetti e non riuscì a partire per Manarello. Volevano sequestrare il generale Piccio, suo cognato. Probabilmente. È un sequestro anomalo perché non ci sono i basisti o meglio, quelli ritenuti tali, i due sergenti dell’aeronautica escono poi dalle maglie del processo in maniera strana, equivoca e rimangono, a mio avviso dei probabili basisti per il generale Piccio. Da racconti di altri detenuti credo, anche se è terribilmente difficile in questo campo tosare riscontri, che il sequestro sia stato organizzato da persone di Arzana e Mallocci, Cau e Carcangiu non c’entrino proprio niente, come, in questo sequestro sembra essere innocente anche il famoso latitante Piras che si consegnerà, più tardi a Lombardini dietro un compenso alla famiglia. Ripeto, una storia sbagliata e raccontata male. Un maxi processo che si occupò di troppi sequestri e che finì per non porre la dovuta attenzione ai particolari, ai dettagli. Nonostante un ottimo presidente di Tribunale, Dr. Floris, che non ebbe il tempo per comprendere tutti gli anfratti delle pieghe processuali.

A.M.: Perché la vicenda è stata sepolta?

Gimpaolo Cassitta: La vicenda, in realtà è sepolta per la maggioranza degli italiani, anche perché è una storia dimenticata, minimale, che non ebbe grossi frastuoni. Ci si ricorda sempre del sequestro di De Andrè, avvenuto nel 1979 e ci si dimentica di quelli di Puppo Troffa, degli Schild, dei fratelli Casana. Erano anni terribili per l a Sardegna ed, in questi anni è penetrato l’oblio per questo reato terribile ed infame, non giustificabile. Purtroppo, però la storia non è   sepolta per la moglie di Bussi. La signora Vittoni, da me incontrata nel 2006, mi ha infatti confessato che lei viene ogni anno in Sardegna perché considera questa la tomba di suo marito, dove le ossa sono sepolte da qualche parte. Mi sono vergognato molto, da sardo, di questa affermazione, ma la signora aveva e ha ragione.
A.M.: Trattare questi argomenti potrebbero mettere in pericolo te stesso o addirittura la tua famiglia? Quanto sei disposto a rischiare per la verità?

Giampaolo Cassitta: Faccio un mestiere difficile e lo faccio da ormai 27 anni. Ho conosciuto molti detenuti, molti mafiosi, camorristi, brigatisti, sequestratori di persona, assassini ma non ho mai percepito la paura che questi potessero fare qualcosa a me o alla mia famiglia. Piuttosto, a volte, sono gli eventi esterni che creano imbarazzi o terribili silenzi. Questo libro, per esempio, non è mai stato recensito dal quotidiano l’Unione sarda mentre ha avuto una pagina intera sulla Nuova Sardegna. È un libro che crea imbarazzi e, probabilmente continua a crearne, ma la seconda edizione è una bella risposta. I lettori hanno premiato la ricerca della verità e la prima edizione è andata esaurita. Mi piaceva l’idea di riproporre l’argomento dopo cinque anni sotto la luce dei figli di un detenuto, anch’essi vittime di una giustizia a volte frettolosa e che non tiene conto delle vite di tutti ma cristallizza le storie solo all’attimo del processo. Son contento di poter ritornare a presentare una storia sbagliata e son contento che ci sia ancora interesse dietro questa storia. La verità d’altronde è  una merce molto rara nel nostro paese anche se le persone vogliono conoscerla e non solo quella processuale. Il libro, anche nella seconda edizione tenta di rispondere a questa bellissima esigenza. Non so se ci riesce fino in fondo. D’altronde non è un saggio vero e proprio ma il romanzo di piccoli microcosmi dove i personaggi sono però tutti dannatamente veri.

 

È inverosimile che “La zona grigia” non sia stata presa in considerazione dall’Unione Sarda anche se risponde a tanti quesiti e si interroga su fatti accaduti in Sardegna. La Sardegna, come l’Italia, ha ancora molto da imparare da alcuni suoi cittadini. Il popolo ha bisogno di verità, ma è pigro ed è per questo che esistono persone che dovrebbero diffondere queste verità per un bene comune. Purtroppo le persone pensano a loro stesse e preferiscono la menzogna.

 

ecco il link dell’intervista di Alessia Mocci.