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In morte di Dj Fabio - La Nuova Sardegna, 1.3.2017

In morte di Dj Fabio – La Nuova Sardegna, 1.3.2017

Dovete immaginarvelo il buio, quello esterno e quello interiore. Dovete immaginarvela la vita intrisa di nero, senza nessun colore e con molti dolori attorno. Senza potersi muovere, senza poter parlare, a ragionare sul nulla che appare eterno. Dj Fabo è stato sollevato da un inferno di dolore e ha chiuso gli occhi per sempre. Come aveva richiesto al suo paese e il suo paese non gli ha risposto. Non il presidente della Repubblica, non quello del Consiglio e neppure molti politici che da tempo sono troppo impegnati nell’alchimia di dividere e ricompattare cose che nessuno capisce.

Fabiano Antoniani ha deciso di morire, di porre fine ad una vita che non riteneva degna, a dire basta a molte sofferenze. Aveva una lucidità incredibile e le sue parole erano macigni per chi aveva il coraggio di ascoltarle. Erano anni che chiedeva di andarsene senza fare troppo rumore, anni in cui il suo corpo non rispondeva più, i suoi occhi non raccoglievano immagini. Fabo non se la sentiva di trascorrere il resto della sua esistenza ad osservare il buio. Lui che era stato un ragazzo coloratissimo pieno di musica e movimento. Ho ascoltato con attenzione l’intervista rilasciata al giornalista della trasmissione televisiva “le Iene”,  ho potuto constatare la sua grande ricerca di dignità in un angolo dove era stato sbattuto dalle leggi, dal conformismo che imbraga le coscienze in un paese che non riesce mai a porre l’uomo al centro della storia. Tutti a costruire giusti consigli, tutti a raccontare che la vita non ce la possiamo togliere  e che in linea di principio è cosa buona e giusta. Poi, però, con quelle parole quasi urlate Fabo nell’intervista ci dice: “Provate a stare legati solo una settimana, senza potervi muovere, con dei dolori terribili ed ogni attimo di quella settimana essere intrisi solo di nero, di buio eterno. Poi, moltiplicatelo per anni, per tutta la vita.” Già, proviamoci a sederci vicino al corpo di Fabo e proviamoci davvero a chiudere gli occhi e soppesare i silenzi. Non è semplice, è terribilmente complicato. Fabo però ci chiedeva solo di poter essere libero di scegliere fino alla fine. Di poter dire basta, di poter scrivere con le proprie mani la conclusione del suo romanzo su questa terra. Certo che è difficile e certamente siamo portati, da sempre, a ricercare la sopravvivenza. Perché la vita vale di essere vissuta, perché dobbiamo riuscire a combattere, perché dobbiamo riuscire a costruire un futuro. Ma Fabo queste cose non le vedeva, non le sentiva. Il suo corpo era lontano e la sua mente non riusciva a disegnare nessun domani. Con la possibilità di riuscirci Fabo si sarebbe suicidato: buttato in un ponte, ucciso con il gas. Addirittura, come ha raccontato nell’intervista, avrebbe assoldato un killer per farla finita. Ho incontrato molte volte  in carcere persone sul ciglio della fine che vagavano silenziose e determinate. Le ho incontrate e con alcune ho provato a regalare parole utili per ripartire. Ho compreso che non era semplice. Alcune di loro non sono riusciti ad aggrapparsi a questa cosa che chiamiamo vita e hanno deciso di abbandonare tutto. Lo hanno fatto perché lo potevano. Non mi sono mai posto il problema se avessero ragione o torto. Non ho mai provato a giudicare. Qualcuno, una volta, mi disse che non avevamo scelto di stare da queste parti e non eravamo noi a dover staccare la spina. Non sono mai stato d’accordo su questa visione nonostante sia innamorato di questo strano gioco che chiamiamo vita. Fabo era stanco, Fabo non c’era, Fabo aveva solo un pugno di rabbia e di dolore per sopravvivere. Tutto dentro un buio fitto e inutile. Senza i colori i contorni della vita non si amano. Buon viaggio Fabo. Con tutti i colori del mondo.

La Nuova Sardegna 1.3.2017