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Grand hotel galeotto.

Grand hotel galeotto.

 

Buonasera, signori. Io sono il portiere dell’albergo. Lo so, un albergo strano, diverso dal solito. Io ho le chiavi per farvi entrare, ma non quelle per farvi uscire. Insomma, la vostra dipartita non dipende da me. E neppure dal buon Dio. Diciamo che ci sono molti fattori. Io ho le chiavi di molte camere. Che, se fosse un albergo normale, sarebbero ben definite: il numero 100 corrisponde al primo piano, il 200 al secondo e così via. Ma da queste parti la numerazione è, come dire, più creativa: noi i corridoi del nostro albergo li chiamiamo braccia o lati: braccio destro, braccio sinistro, lato destro, lato sinistro, oppure sezioni, o padiglioni, o braccetti, o tanti altri strani nomi. A volte anche esotici, o di città, o di venti. Insomma, io ho le chiavi di molte stanze e di molti alberghi dove entrano molte persone, sempre accompagnate da qualcuno, mai da sole. Perché di fatto nei nostri alberghi non si prenota. Mai. Dicono porti male. Ma c’è una cosa stranissima, che non accade in nessun altro albergo del mondo: da noi un posto per il cliente lo troviamo sempre. Mica possiamo mandarlo via o da un’altra parte. Non accade mai. Noi usiamo, come dire, far dividere la stanza con qualcun altro, tanto a che serve una stanza d’albergo?

Io sono uno strano portiere. Ho le chiavi. Grandi chiavi. Che non consegno mai ai nostri clienti. Direte: avranno il badge che inseriscono nella fessurina fuori della camera. No, neppure quello. I nostri clienti entrano perché li accompagniamo noi e chiudiamo dolcemente. Più o meno. Il gioco sottile è che i nostri clienti non hanno le chiavi, soprattutto per uscire. E non possono scegliersi le persone che dormono nella loro stanza. Tutto è lasciato un po’ al caso, alla necessità, alla creatività.

Io sono il portiere dell’albergo. Di un albergo chiamato carcere. L’unico albergo che non va in overbooking. Tutto è prenotabile, per tutti c’è posto. Siamo disposti a tutto e non facciamo neppure tanta pubblicità.

Io sono il portiere di questo strano albergo, dove non conosco i clienti che arrivano e li devo sempre identificare. Loro vorrebbero non entrare, ma io non posso farli uscire, anche se dentro l’albergo non c’è più posto e poi, lo ripeto sempre, ma perché siete venuti da queste parti, che non c’è proprio niente da vedere?

Io sono il portiere dell’albergo. Ma le prenotazioni non le gestisco io. Sono l’unico portiere al mondo che non ha le chiavi dietro il banco. Ne basta una per piano, o sezione, o braccio. Sono anche l’unico portiere che non risponde al telefono. Perché nel nostro albergo i telefoni non ci sono. Sono anche un portiere che osserva in silenzio e, se per caso, dovesse entrare una coppia, siatene certi: nel nostro albergo non dormiranno mai insieme. È una delle nostre piccole e forti certezze. I maschietti con i maschietti, le femminucce con le femminucce. Niente party o incontri galanti.

Nel nostro albergo, inoltre, non ci sono i soldi. Non è possibile, pertanto, camminare con il portafoglio gonfio, non è pensabile arrotolare euro o carte di credito. Non abbiamo le piscine e neppure vista mare (solo da qualche parte ma in maniera molto parziale, una volta avevamo delle piccole suite in un’isola, ma è ormai chiusa da anni). Non c’è internet e nessuna possibilità di fare tardi. L’unica concessione al lusso è la colazione, il pranzo e la cena in camera: passano dei clienti che servono altri clienti. Ma non puoi scegliere il menù. Il nostro albergo non è un resort. Piuttosto un residuo. Ecco, questo offriamo nella nostra catena.

Io sono il portiere dell’albergo. Aspetto e guardo i giorni che camminano lenti, sempre uguali. Una cosa, però, ho imparato: nel mio albergo non vengono mai i potenti, i ricchi, i furbi. Il mio è un albergo con poche stelle e poco cielo sul tetto. Il mio è un albergo che non piace ai Vip, anche se dovrebbero prenotare per comprendere la vita e un briciolo di dignità e lasciare perdere luoghi esotici o città dove abbondano i cedri. Dovrebbero passare nella mia hall, di tanto in tanto.