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Era d'estate. Ma senza il colore e l'anima dell'Asinara. (La Nuova Sardegna 1/6/2017)

Era d’estate. Ma senza il colore e l’anima dell’Asinara. (La Nuova Sardegna 1/6/2017)

Ho atteso i titoli di coda. E ho chiuso gli occhi a ripassare le frasi, le immagini, la storia. Qualcosa non mi tornava. Ho riavvolto il filo dei miei ricordi e ho scoperto che qualcosa non combaciava. Questioni di punti di vista. Certo. Però il film “Era d’Estate” della regista Fiorella Infascelli, dedicato ai giorni passati da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sull’isola dell’Asinara, non ha funzionato. Almeno con me. L’ho atteso con circospezione, con paura. Era il mio primo anno all’Asinara. C’era ancora tutto da scoprire. Avevo assistito al cambiamento repentino dei colori dell’isola che si ingiallisce molto presto, a primavera inoltrata. È stato questo il primo indizio che mi ha lasciato piuttosto perplesso: l’Asinara del film non aveva gli stessi colori. Non c’era quel giallo forte, intenso, quel colore nitido della polvere quando passavano le campagnole sulle strade sterrate. Non c’era quel rumore infinito di un silenzio dolcissimo e tragico. Gli attori sono stati bravi e hanno ben recitato le parti. Erano credibili in un contesto che non quadrava. Le scene ripetute all’interno della foresteria nuova volevano, forse, costruire un senso claustrofobico in un isolamento che poteva portare anche alla follia. Probabilmente anche le immagini, a volte cupe, a volte con paesaggi notturni e con troppe nuvole, servivano a evidenziare l’impotenza di due uomini che sapevano di giocare contro il tempo. Eppure il film è rimasto solo una musica ben scritta e ben interpretata ma che, una volta finita, non ha intercettato l’anima. La ricostruzione storica è stata corretta e si perdonano alcune licenze poetiche come il gruppo di detenuti a Punta della Scomunica senza nessun agente (le famose squadre) o la scelta della regista di puntare tutto sui personaggi e sulle loro famiglie escludendo il paese di Cala d’Oliva e, soprattutto il paesaggio. Quello che non c’era era l’anima dell’isola che non è mai apparsa, se non fugacemente e mal pennellata, un’isola che è stata sconforto per due uomini con l’urgenza di dover scrivere la storia, ma è stata anche cornice di una parentesi forte, intensa, che ha sconvolto la vita di tutti all’Asinara. Noi sapevamo, tutti sapevano della presenza di Falcone e Borsellino. Usammo il silenzio, il camminare in punta di piedi, utilizzammo il rumore delle onde per non disturbare quegli uomini venuti da un’altra isola. Ricordo quando arrivarono i documenti, la presenza dei due magistrati sul porto, quasi a voler scortare un qualcosa di prezioso, unico, irripetibile. La barca del direttore che con un rumore quasi impercettibile si avvicinava al piccolissimo molo della foresteria e che io potevo ben vedere dalla mia finestra, in quella casa a pochi passi da loro. Quell’andare in spiaggia a Punta Sabina a fare il bagno da soli, mentre noi dovevamo aspettare. E lo sapevamo. E lo capivamo. Quell’osservare, la notte, gli agenti armati, di ronda dal porto alla foresteria, quel loro seguirmi con lo sguardo mentre camminavo e mi avvicinavo al luogo dove le famiglie Falcone e Borsellino erano state ospitate. Quel rumore di chiavi che lentamente aprivano il portoncino dove entravo. Quell’affacciarmi alla finestra a controllare la luce delle camere della foresteria e capivo che quei giudici continuavano a lavorare, a scrivere. Quel colore intenso che riempiva l’isola e faceva da splendido contrasto tra il blu e l’infinito. Tutto questo nel film “era d’estate” non c’era. Neppure un fotogramma su Punta Sabina, su Cala d’Arena. Niente. Neppure un passaggio a Fornelli che poteva rappresentare la contrapposizione tra lo Stato e la criminalità organizzata. Niente. Avevo sperato, alla fine del film, che si levassero in volo migliaia di papere per ricordare l’amore che nutriva Falcone per questi animali. Ecco, a pensarci bene al film è mancata la poesia, il racconto di due giudici che scrissero parole forti, dure, di condanna, con la mano ferma, solida, giusta. E le scrissero dentro una grande bellezza come l’Asinara.